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Divieto di avvicinamento. La tutela dei diritti dell'indagato

Divieto di avvicinamento. La tutela dei diritti dell'indagato

La misura cautelare del "divieto di avvicinamento” alla persona offesa.
Alla ricerca del minimo sacrificio possibile della libertà dell’indagato.

1. L’art. 282 ter c.p.p. 

Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è una misura personale cautelare introdotta nel nostro ordinamento con il Decreto Legge 23 febbraio 2009 n. 11, art. 9 intitolato ”Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, convertito  nella Legge 23 aprile 2009 n. 38.
Tale misura è andata così ad aggiungersi a quella già prevista dall’art. 282 bis c.p.p. (allontanamento dalla casa familiare), introdotta dalla Legge 4 aprile 2001 n. 154 (misure contro la violenza nelle relazioni familiari), legge quest’ultima che aveva inserito, nel versante civilistico (artt. 342 bis e 342 ter c.c.) gli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
Ulteriori modifiche alla norma in esame sono state introdotte con il Decreto Legge n. 93 del 2013 (convertito dalla Legge n. 119 del 2013), emesso in seguito alla direttiva 2012/29/UE e alla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con la Legge n. 77 del 2013 con la comune finalità di riconoscere alla vittima del reato di violenza una maggiore protezione, quale quello dell’obbligo informativo della persona offesa, con conseguente possibilità per la stessa di intervenire nelle ipotesi in cui si richieda al Giudice la sostituzione o al revoca della misura cautelare.
Infine con la Legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso), si è ulteriormente prevista la possibilità di applicare, a seguito della emissione della misura cautelare, le particolari modalità di controllo previste dall’art. 275 bis c.p.p., e quindi l’applicazione all’indagato del c.d. l braccialetto elettronico.
Quindi la norma è, oggi, così concepita: 
1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275 bis.
2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.
3. Il Giudice può, inoltre, vietare all’imputato, di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.
4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
Importante ricordare che sempre la Legge 19 luglio n. 69 ha introdotto nel codice penale la norma di cui all’art. 387 bis che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni, chiunque, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli articoli 282 bis e 282 ter del codice di procedura penale.


2. Ampio potere discrezionale del Giudice procedente. Necessità di sentire le ragioni dell’accusato.

La lettura della norma fornisce immediatamente la percezione del ventaglio delle opzioni cautelari che possono riempire di contenuti e di divieti e di "possibilità di movimento” il "divieto di avvicinamento”.
Il Giudice può:
a) indicare in maniera determinata i luoghi ove l’indagato non può avvicinarsi e quindi notoriamente l’abitazione del denunciante, ed il luogo ove lo stesso eventualmente esplica l’attività lavorativa, imponendo, anche o esclusivamente,all’accusato di mantenere una certa distanza da tali luoghi.
b) Stabilire che l’accusato mantenga una determinata distanza dalla stesa persona offesa, ovunque la stessa si trovi.
c) Decidere di applicare all’indagato, per il rispetto degli obblighi di cui ai punti a ) e b) una distanza minima.
d) Imporre all’indagato di non avvicinarsi ad altri luoghi "determinati” frequentati da prossimi congiunti o da altre persone vicine al denunciante o imporre una determinata distanza da tali luoghi.
e) Vietare all’accusato di comunicare  con qualsiasi mezzo con tutte le persone indicate in precedenza.
f) Far applicare all’indagato, ai fini del rispetto degli obblighi sopra descritti, un "particolare mezzo di controllo” elettronico.
Il Giudice, quindi, deve conoscere approfonditamente il caso concreto e disporre in conseguenza garantendo la tutela del denunciante con il minor sacrifico possibile della libertà, dei diritti, e delle prerogative dell’indagato.
Per farlo deve conoscere nei minimi dettagli le dinamiche della situazione creatasi tra denunciante e indagato, gli ambiti famigliari, il lavoro di ognuno, le prerogative, le aspettative e le esigenze lavorative, famigliari e anche personali di ognuno, così del denunciante persona offesa che del denunciato indagato.
Purtroppo nei provvedimenti cautelari si legge, quasi sempre una "esclusiva”, quasi ossessiva ricerca della tutela dell’ incolumità della vittima, privilegiando la sua possibilità di movimento e si ha una scarsa considerazione dei diritti dell’indagato che, sebbene ritenuto meritevole di una misura extramuraria e quindi meno afflittiva, subisce delle evidenti limitazioni alla stessa che superano la stretta necessità di tutela della denunciante divenendo oltremodo incidenti negativamente sulla vita, gli affetti, il lavoro stesso della persona indagata  


3. Il contrasto (ricomposto) nella Giurisprudenza della  Cassazione: il Giudice deve determinare in maniera specifica tutti i luoghi vietati all’indagato (Cass. sez. VI n. 26819 del 7/04/11)  oppure deve limitarsi ad imporre di evitare contatti ravvicinati con la vittima (Cass sez. V n. 13568 del 16/01/2012).

Le due sentenze citate, emesse dopo la prima emanazione della norma, parevano aprire la strada ad una remissione alle Sezioni Unite Penali, della questione.
Invero, poi la stessa Giurisprudenza della Suprema Corte ha ricomposto il contrasto, e le decisioni numericamente più frequenti sono quelle che ritengono il divieto di avvicinamento riferendosi alla persona offesa in quanto tale e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime una palese scelta legislativa di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della sua vita sociale in condizioni di sicurezza ( Cass. sez. V n. 19552 del 26/03/2013) giungendo ad affermare che la misura consiste  nell’essenziale imposizione di evitare contatti ravvicinati con la persona offesa, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente a precludere all’indagato la possibilità di farvi accesso (da ultimo Cass. sez. Quinta 26 aprile 2021 n. 15659).
Secondo la Giurisprudenza dominante, quindi, all’Istituto va riconosciuto un carattere sostanziale e non formale, in quanto il provvedimento cautelare è rivolto a tutelare il diritto della denunciante ad esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza "a prescindere dal luogo in cui essa si trovi” (Cass. sez. III n. 23472 del 27/03/2019).
Già una attenta lettura del dato legislativo, comunque, consente di ritenere che vi sia un divieto di avvicinamento "ai luoghi” base della persona offesa (abitazione e posto di lavoro), ed un divieto dia avvicinamento "alla persona” del denunciante che si esplica attraverso un "obbligo di distanza” cui l’indagato è obbligato.

4) Le ripercussioni della misura sulla libertà di movimento, di lavoro e sul diritto di coltivare affetti e relazioni sociali da parte dell’indagato.

Certo, la migliore "determinatezza” dell’obbligo consente un più agevole rispetto dello stesso e al contempo controlli più efficaci.
L’obbligo, invece, che non indichi specificamente i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa si presta ad una più facile violazione.
Ed in tal caso le conseguenze possono essere gravose per l’indagato in quanto il PM può richiedere una misura più contenitiva, quali gli arresti domiciliari, per bloccare iniziative dell’indagato ritenute pericolose per la vittima.
Conseguenze che potrebbero divenire ancora più preganti, per l’indagato, in quanto il Disegno di Legge A.C. 2435-A di Riforma del processo penale, in discussione in parlamento, e noto come Riforma Cartabia (dal nome della Ministra della Giustizia) prevede addirittura (all’art. 2 comma 15) la modifica dell’art. 380 c.p.p. con l’inserimento della norma che prevede l’arresto obbligatorio in flagranza in caso di violazione dei provvedimenti di allontanamento della  casa familiare e del divieto di avvicinamento dei luoghi frequentati dalla persona offesa.
Pertanto l’indagato (e presunto  innocente) di un delitto contro la persona che si veda applicato il divieto di avvicinamento, in caso di violazione, può incorrere nell’aggravamento della misura, viene  denunciato per la commissione del reato di cui all’art. 387 bis c.p. rischiando una condanna da 6 mesi a 3 anni, e forse, se approvata in tal guisa la riforma del processo penale, dovrà essere arrestato e condotto in carcere oppure agli arresti domiciliari.
Pertanto, è evidente, come assuma grande rilevanza delimitare l’obbligo, fare in modo che lo stesso venga rispettato dall’indagato senza incorrere in errori in buona fede e sia rispettoso, comunque, anche della libertà di costui che non può essere compressa oltre i limiti, tenendo anche conto che un processo per l’accertamento delle responsabilità deve ancora svolgersi.
Quindi, quello che rileva sottolineare in queste sede, e nell’ottica di tutela dell’indagato, è la necessità che l’obbligo non diventi limitativo per la persona denunciata al fine di comprometterne gli affetti, la regolarità lavorativa e anche la stabilità psichica.
Il divieto di avvicinamento, infatti, di solito, comporta ripercussioni molto problematiche per l’indagato e per la sua vita affettiva, lavorativa e sociale.
Considerando che il Giudice che ha emesso la misura, ha ritenuto applicabile all’indagato una misura "non detentiva”, deve quindi ritenersi che il fatto concreto non sia connotato da quei requisiti di "gravità” e di "allarme” tali da giustificare una misura intramuraria (custodia in carcere o domiciliare).
Nonostante ciò, il divieto di avvicinamento può significare di solito l’obbligo di abbandonare la casa ove si convive con il (o la) denunciante, l’obbligo di stare lontano da eventuali figli minori, l’obbligo di recarsi a vivere altrove, e la conseguente difficoltà a svolgere attività lavorativa nei pressi dei luoghi frequentati dalla persona offesa, la difficoltà di riprendere relazioni sociali spesso in ambiti anche frequentati dalla persona offesa, la difficoltà di trovare alloggi distanti dai "luoghi frequentati dalla persona offesa”, con tutte le ripercussioni di carattere psicologico che una situazione del genere può creare.
 Pertanto se la tutela della "presunta vittima” è stata la ratio della ideazione della norma, la tutela della libertà dell’ indagato "presunto innocente” non può essere sacrificata oltremodo sia in attesa dei riscontri del dibattimento sia per non pregiudicare situazioni altrettanto meritevoli di tutela quali il diritto dei minori eventualmente coinvolti nella vicenda e comunque legati affettivamente all’indagato, il diritto allo studio, il diritto al lavoro e stessa libertà di movimento dell’accusato.
Altresì, nel caso in cui, maggiori esigenze di tutela impongano la molteplice previsione di non avvicinarsi alla abitazione ed ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonchè quella di non avvicinarsi a meno di 500 metri da tali luoghi  nonché dalla persona offesa e dai suoi prossimi congiunti ovunque si trovino, può comportare notevoli difficoltà per la vita dell’indagato diventando una "gabbia” da cui è difficile uscire.

5. Il diritto di difesa dell’indagato sottoposto a "divieto di avvicinamento”.

A fronte di una Giurisprudenza che riconosce, in maniera "granitica”, la funzione di protezione della persona offesa, dell’obbligo del divieto di avvicinamento e lo ritiene esplicabile sia nei confronti dei luoghi che nei confronti della persona, vi sono tuttavia spazi per la difesa dell’indagato al fine di evitare che l’obbligo comprima e opprima troppo il denunciato.
A fronte delle  esigenze primarie, quindi  vi è il diritto della persona sottoposta ad indagine, a non vedere limitare la propria libertà morale e fisica oltre il limite previsto da effettive esigenze di tutela.
Le possibilità di difesa sono legate alla capacità di indicazione di circostanze favorevoli a delineare in maniera diversa la personalità del sottoposto alla misura e alla produzione di documenti capaci di rappresentare particolari situazioni meritevoli di tutela.
Infatti, occorre ritenere che:
1) L’indagato cui viene applicata la misura del divieto di  avvicinamento  previsto dall’art. 282 ter c.p.p. ha avuto una condotta non suscettibile, a parere del Giudice, di applicazione di misure cautelare intra moenia (custodia in carcere o custodia cautelare) ,e quindi ha assunto una condotta non particolarmente grave.
2) Al momento dell’applicazione della misura è stata prospettata, quasi nella maggior parte dei casi, la sola tesi accusatoria;
Queste due prime considerazioni consentono di ritenere centrale e focale il momento in cui l’indagato sarà sottoposto a "interrogatorio di garanzia”: è quello il primo momento nel quale egli non solo potrà far valere le proprie ragioni, contrastando gli elementi di accusa, ma anche il momento in cui potrà indicare particolari elementi (e/o documenti)  per consentire una migliore aderenza alla sua persona dei divieti che gli vengono imposti.
Non dimentichiamo, infatti, che ai sensi del 4^ comma dell’art. 282 ter il Giudice può prescrivere particolari modalità e limitazioni nella ipotesi in cui la frequentazione dei luoghi della persona offesa sia necessaria per l’indagato "per motivi di lavoro”.
3) L’indagato conserva comunque la sua libertà di movimento che non può essere compressa oltre il dovuto al punto di non dover uscire dalla sua abitazione  per il pericolo di incontrare la persona offesa :
4) Il principio di minima lesività della misura de libertate impone che i vincoli cui può essere assoggettato l’imputato sono solo quelli strettamente necessari a contenere i pericoli generati dal suo comportamento.
5) Deve sempre considerarsi la "irrilevanza del fatto” nel momento in cui sia la persona offesa a recarsi presso l’abitazione dell’indagato o nei pressi dell’abitazione o del luogo di lavoro dello stesso: se infatti è la persona che abbisognerebbe di protezione ad avvicinarsi all’indagato si verifica un capovolgimento dei ruoli e non si può parlare di infrazione dell’obbligo da parte dell’indagato. 
6) Le particolari situazioni lavorative ed affettive dell’indagato vanno sempre salvaguardate, tutelate e difese.
La difesa dell’indagato cui è imposto l’obbligo di non avvicinamento, dovrà in defintiva impegnarsi perché:
I) La misura imposta all’onerato sia il più possibile determinata e delimitata;
II)       L’onerato deve veder limitata la sua libertà di movimento nella misura esclusivamente necessaria alla tutela della denunciante;
III) Le esigenze di affetto (anche verso eventuali figli della coppia in dissidio) devono essere salvaguardate assicurando continui contatti tra genitore e figli;
IV) Le esigenze di lavoro dell’onerato devono essere salvaguardate anche consentendo, seppure in determinate ore della giornata, espresse deroghe anche al divieto di avvicinamento;
V)        Le esigenze di vita sociale dell’onerato non possono essere compresse oltre il dovuto e quindi non potrà impedirsi allo stesso di avere relazioni con persone che frequentano anche la persona offesa: questione a mio parere molto rilevante giacchè consente di evitare l’isolamento ambientale (e psichico)  dell’ indagato e contribuisce a calmierare il pericolo di reiterazione di comportamenti illeciti e apre la strada ad un percorso di risocalizzazione.
VI) Indicare sempre "Elementi di fatto e personalistici nuovi” che possano sempre indurre a richiedere la revoca o la modifica in melius dell’obbligo.
 In definitiva come ogni situazione di fatto, e ancor più nella ipotesi di situazioni di fatto che attengano a rapporti affettivi, l’evoluzione degli accadimenti e dei comportamenti può indurre a modifiche che ne stemperino, per l’indagato,  l’afflittività.
Compito del difensore è di essere la sentinella di ogni elemento utile a migliorare la situazione dell’onerato che nella fase del procedimento penale, soprattutto in epoca di Codice Rosso, diventa Egli la persona più debole dell’ingranaggio processuale.

Avv Filippo Castellaneta  

Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 08/08/2021
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