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Il pericolo di recidiva per le condannate madri che richiedono misura alternativa alla detenzione. Una pronuncia del TS Bari

Il pericolo di recidiva per le condannate madri che richiedono misura alternativa alla detenzione. Una pronuncia del TS Bari

Condannate madri e pericolo di reiterazione del reato  

1.Premessa. La sentenza della Corte Costituzionale n. 76 del 12 aprile 2017.

 Con la sentenza n. 76/2017 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 47 quinquies comma 1 bis della legge n. 354/1975 nella parte in cui prevedeva che la detenzione domiciliare speciale nei confronti delle madri condannate che avessero prole con età inferiore a 10 anni, non potesse essere concessa laddove le stesse avessero riportato una condanna per uno dei reati previsti dall’art. 4 bis della stessa legge.

La detta sentenza stabilì in maniera netta e precisa che è preminente l’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto a ricevere cura, istruzione ed educazione.

Ogni altra esigenza connessa alla esecuzione della pena deve essere sacrificata di fronte al diritto del fanciullo di avere un rapporto stabile e duraturo con il genitore. 

Nella specie, le esigenze di difesa sociale sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore in seguito alla commissione di un reato devono ritenersi applicabili non in base ad automatismi predefiniti, ma anzi devono essere valutate "in concreto”, valutando la necessaria protezione del diritto del minore ad essere curato ed educato, nella fase della esistenza in cui lo stesso è più vulnerabile,  dal genitore naturale.
Le esigenze del minore quindi devono essere valutare preminenti rispetto allinteresse punitivo dello Stato.
La norma, art. 47 quinquies comma 1 bis della legge n. 354/1975,  fu introdotta con la legge n. 62 del 21 aprile 2011 e consentì, per l’appunto alle madri condannate a pene detentive superiori a quattro anni, o che devono scontare ancora più di quattro anni di pena, di accedere alla detenzione domiciliare speciale, alla condizione che abbiano scontato un terzo  della pena ovvero quindici anni in caso di ergastolo.
Con ordinanza del 12 ottobre 2015 il Tribunale di Sorveglianza di Bari sollevò questione di legittimità costituzionale di tale norma nella parte in cui impediva che le modalità di espiazione della pena ivi previste venissero concesse alle condannate per i delitti di cui all’art. 4 bis della medesima legge prima che avessero scontato un terzo della pena.
In tal caso, infatti, si creava anche una disarmonia del sistema in quanto la madre di figlia minore doveva entrare in carcere al fine di scontare il terzo di pena previsto, e necessario per essere, successivamente, ammessa alla detenzione domiciliare speciale così interrompendo la convivenza con il minore.  
La Corte Costituzionale con la pronuncia in epigrafe dell’8 marzo 2017 ( Presidente Grosso, relatore Zanon), pur affermando che vi deve essere un bilanciamento tra l’interesse del minore e le esigenze di difesa sociale,  affermava che il legislatore, tramite il ricorso a presunzioni insuperabili, impedisce al giudice di valutare la sussistenza in concreto, nelle singole situazioni, delle suddette esigenze di difesa sociale e pertanto nega in radice il possibile bilanciamento sacrificando "a priori” l’interesse del minore.
 Per tali motivi l’art. 47 quinquies comma 1 bis della legge n. 354 /1975 venne dichiarato incostituzionale limitatamente alle parole "salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4 bis”.

2.Ulteriore premessa: La sentenza della Corte Costituzionale n. 18  del 15 gennaio 2020.

Con ordinanza del 26 aprile 2019 la Corte di Cassazione sezione I penale, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 47- quinquiies comma 1 legge 354  del 1975 "nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare  speciale anche nei confronti della condannata madre di prole affetta da handicap totalmente  invalidante”

In quel caso la condannata aveva impugnato la decisione del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria che aveva rigettato la richiesta di detenzione domiciliare in quanto la figlia di costei, seppure affetta da handicap totalmente invalidante, aveva superato i dieci anni di et, essendo nata nel 1994.
La Cassazione aveva ravvisato nella norma così come letteralmente strutturata, una violazione del principio di eguaglianza in quanto era irragionevole legare la concessione del benefico soltanto all’tà del minore, e non consentire di apprezzare l’esistenza di situazioni omogenee a quella regolata in cui si palesi la necessità di assicurare al figlio la effettiva presenza e il pregnante sostegno del genitore come nel caso in cui il figlio sia portatore di un handicap invalidante.

La Corte Costituzionale( Presidente e Relatore Cartabia), con la pronuncia 18 del 2020, accogliendo i rilievi del Giudice remittente, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 47 quinquies comma 1 della legge 354/1975 nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale anche alle condannate madre di figli affetti da handicap grave ai sensi dell’art. 3 comma3, della legge 5 febbraio 1992 n. 104 ritualmente accertato in base alla medesima legge.

3.L’ostacolo principale alla concessione della detenzione domiciliare speciale: il concreto pericolo  di commissione di ulteriori delitti o di fuga. Una decisone del Tribunale di Sorveglianza di Bari.

La cornice normativa, delineata a seguito dei puntuali interventi della Corte Costituzionale è chiara: l’interesse del minore è il bene che deve  essere valutato in maniera scevra da valutazioni precostituite e pregiudizievoli ancorate a dati fissi.
Al Giudice  di Sorveglianza deve essere consentito un esame completo del caso concreto senza vincoli legati alla tipologia di reato, all'eventuale collaborazione con la giustizia o  al quantum di pena espiato.
 Tuttavia il Giudice di sorveglianza deve bilanciare interesse del minore difesa sociale del caso concreto.
Ebbene, sotto tale profilo viene in rilievo la sussistenza, o meno, del concreto  pericolo di commissione di altri reati o di fuga.
Soltanto se valuterà inesistenti tali esigenze e pericoli concreti, il Giudice potrà consentire alla detenuta madre di scontare la pena presso la propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura assistenza o accoglienza, ovvero presso "case famiglia protette” al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli.
Quindi "valutare il pericolo di recidiva”, ma non in astratto, bensì con riferimento alla situazione concreta ambientale e personale della condannata.
Per effettuare questa prognosi i Giudici della Sorveglianza fanno riferimento a vari criteri quali:
a) La tipologia del reato commesso;
b) La personalità della condannata;
c) La presenza di carichi pendenti;
d) L’ambiente dove deve essere collocata la condannata
e) Gli eventuali legami con ambienti criminosi.
Di recente una decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bari (ordinanza del 9.032021) ha ritenuto di poter concedere la detenzione in casa protetta per una condannata madre che deve espiare la pena  di anni 5 e mesi 4 di reclusione  quale residuo della pena irrogata per il reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico ed in presenza di altri due carichi pendenti per reati connessi allo smercio di sostanze stupefacenti.
La Procura Generale aveva richiesto il rigetto della istanza in quanto era abbastanza ravvicinato nel tempo (un anno addietro) l’episodio da cui era scaturita una  nuova pendenza giudiziaria per possesso di stupefacenti e che aveva portato la istante ad una nuova condanna, sebbene non ancora definitiva, per violazione dell’art. 73,  ad anni 2 e mesi 2 di reclusione per violazione art. 73 comma 1.
La condannata inoltre era destinataria del provvedimento di sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Nel frattempo tuttavia, si era trasferita, grazie all’intervento dei servizi sociali del comune di appartenenza presso una comunità residenziale con le due figli minori , una delle quali minore di anni 10.
Proprio tale dato ha indotto il Tribunale ad escludere il pericolo di recidiva e a concedere la misura alternativa alla condannata.
Il Tribunale, infatti, pur ritenendo "degna di attenzione” la più recente pendenza giudiziaria in ragione della vicinanza temporale delle condotte criminose e per le modalità dei fatti, ha ritenuto assente un pericolo concreto  di ripetizione degli illeciti vista la scelta operata dalla condannata di allontanarsi dal luogo di residenza e recarsi in una comunità residenziale con  i suoi figli per prendersi cura degli stessi, adeguatamente supportata dai servizi sociali e dagli operatori della comunità,  e vista la sua disponibilità a svolgere opera di volontariato.
In definitiva il Tribunale di Bari ha ritenuto che "nel bilanciamento tra l’interesse del minore degli anni dieci a fruire in modo continuativo dell’affetto e delle cure materne e quello, di pari rango, di difesa sociale, in assenza di astratte preclusioni  e di concreto pericolo di recidiva si ritiene prevalente il primo da realizzarsi mediante l’ammissione della condannata al beneficio della detenzione domiciliare fino al compimento del decimo anno di età della figlia minore”.

4.Conclusioni

Come ricordato altre volte è la scienza pedagogica che afferma la antitesi tra minore e carcere, oltre che la necessità di un rapporto continuativo del minore con la genitrice.
Già Jhon Bowbly, psicologo britannico autore di studi sul rapporto madre –figlio (" Attachment theory”)  in un rapporto del 1951 su incarico dell’organizzazione  mondiale della sanità rispetto l’osservazione clinica di bambini separati dai genitori scriveva : " Si ritiene essenziale per la salute mentale che l’infante e il bambino sperimentino un rapporto caldo, intimo, ininterrotto con la madre nel quale entrambi possano trovare soddisfazione e godimento”.
Il legislatore italiano pertanto, ha previsto un istituto apposito per le condannati madri, ma inizialmente lo aveva condizionato alla esistenza di una serie di vincoli  precostituiti che la Giurisprudenza "illuminata” della Corte Costituzionale ha in  decennio spazzato via.
Il Giudice di Sorveglianza, tuttavia, è l’arbitro di ogni situazione e deve ritenere possibile l’applicazione del beneficio soltanto ove non osti un concreto pericolo di reiterazione del reato.
Tale pericolo, deve essere specificamente attuale e concreto nel senso che vi deve essere quasi una certezza che la condannata in futuro commetterà altri reati sebbene ristretta in ambiente domiciliare o domestico.
A fronte ditale possibilità, la smentita può arrivare soltanto dalla condannata stessa, attraverso atteggiamenti  responsabili  di presa d’atto, quanto meno, degli sbagli compiuti anche nellottica della formazione dei figli, e di manifestazione di disponibilità ad effettuare un percorso di vicinanza agli stessi  e di collaborazione con la collettività attraverso opere di volontariato.
La personalità anche "in evoluzione” di chi ha sbagliato scegliendo la strada del crimine, è il segnale necessario al Tribunale per far ritenere soltanto una astratta possibilità di recidiva e non "un pericolo concreto” come prescrive la legge. 

Avv Filippo Castellaneta , 4 aprile 21






Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 04/04/2021
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