La consulta rimodula il ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria
LA CONSULTA RIMODULA IL RAGGUAGLIO TRA PENA DETENTIVA E PENA PECUNIARIA
La Corte Costituzionale ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 53 Legge n. 689/1981 nella parte in cui rende, di fatto, la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria un privilegio per i soli condannati abbienti.
1. La pronuncia n. 28/2022 del Giudice delle Leggi.
Con la sentenza n. 28/2022 del 12.01.2022 e depositata il 01.02.2022 la Corte Costituzionale, ancora una volta, ha compiuto un vaglio di legittimità sull’art 53 Legge n. 689/1981e, in particolare, sulla questione afferente la manifesta inadeguatezza della pena pecuniaria, applicata in sostituzione della pena detentiva, suscettibile di risultare gravemente sproporzionata rispetto alle concrete condizioni economiche dei condannati.
La norma oggetto di censura dispone al primo comma che il giudice, quando ritenga di dover determinare la pena detentivaentro il limite di sei mesi, può sostituirla con la pena pecuniaria della specie corrispondente.
Il secondo comma stabilisce che:"La sostituzione della pena detentiva ha luogo secondo i criteri indicati dall'articolo 57. Per determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'articolo 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare. Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l'articolo 133-ter del codice penale”.
Orbene, il tasso di ragguaglio previsto dall’art 135 c.p., espressamente richiamato dall’art 53 Legge n.689/1981 per la determinazione dell’ammontare giornaliero della pena pecuniaria, veniva dapprima fissato in 75.000 lire dall’art. 1 della Legge n. 402/1993, poi convertito in 38,00 euro ed è stato, da ultimo, innalzato a 250,00 euro giornalieri per effetto della Legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
Tale aumento tuttavia ha avuto l’inevitabile effetto di rendere eccessivamente onerosa, per molti condannati, la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, portando nella prassi a sacrificare il ricorso ad un istituto originariamente destinato ad evitare l’effetto stigmatizzante che la struttura carceraria può provocare, soprattutto per coloro che si sono resi autori di reati di modesta gravità; invero, per tali reati sono previste pene detentive troppo brevi, le quali, non solo appaiono inidonee a concretizzare un fattivo percorso trattamentale in carcere, ma finiscono col diventare causative di una drastica lacerazione di tutti i rapporti che il soggetto condannato ha costruito nel tessuto socio - familiare.
Ciò premesso, sia il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Ravenna, che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, della legge n. 1981 n. 689, nella parte in cui prevede che, nel determinare l’ammontare della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice individui il valore giornaliero, da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, in un valore che non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 c.p., pari a euro 250,00, anziché fare applicazione dei criteri di ragguaglio di cui all’art. 459, co. 1 bis, c.p.p., ovvero ai quei meccanismi di adeguamento di cui all’art. 133 bis del codice penale, denunziandone il contrasto con gli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
La Corte Costituzionale, ritenendo fondate le questioni di legittimità costituzionali sollevate dai due giudici rimettenti, ha stabilito, all’uopo richiamando il costante orientamento affermato sulla questione, che "ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. l’ampia discrezionalità di cui dispone il legislatore nella quantificazione delle pene incontra il proprio limite nella manifesta sproporzione della singola scelta sanzionatoria, sia in relazione alle pene previste per altre figure di reato, sia rispetto alla intrinseca gravità delle condotte abbracciate da una singola figura di reato. Il limite in parola esclude, più in particolare, che la severità della pena comminata dal legislatore possa risultare manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del reato: il che accade, in particolare, ove il legislatore fissi una misura minima della pena troppo elevata, vincolando così il giudice all’inflizione di pene che potrebbero risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua gravità”.
2. Alla ricerca della eguaglianza sostanziale: modulare le pene pecuniarie alle condizioni economiche degli imputati per renderle davvero alternative alla pena detentiva
Nel caso della pena pecuniaria il limite previsto in Costituzione si rileva tutte le volte in cui la stessa determini una disuguale afflittività in ragione delle diverse condizioni economiche dei soggetti condannati.
Dunque, nella prospettiva di una eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale nell’applicazione della pena pecuniaria, a parere della Corte, deve guardarsi al diverso impatto che l’applicazione della stessa- medesima nel quantum- può avere rispetto a ciascun destinatario; invero, tale diverso impatto richiede una "compensazione”, che il giudice dovrà operare nella commisurazione della pena, alle reali condizione economiche del soggetto autore di reato.
In definitiva la Corte, nella sentenza in esame, riconosce l’elevatezza della sanzione, pari a € 250,00 giornalieri, determinata in virtù del censurato art 53 L n. 689/1981, che, di fatto, ha "trasformato” la sostituzione della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti, in palese violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art 3 della Costituzione.
Affermata l’incostituzionalità della norma censurata, la Corte Costituzionale rileva tuttavia l’impossibilità di procedere alla mera ablazione della stessa, poiché avrebbe solo l’inevitabile effetto di pregiudicare la funzionalità di uno strumento, che rende possibile la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, previsto dal legislatore per rendere meno afflittivo il trattamento sanzionatorio nei reati meno gravi, e causare conseguentemente un grave vuoto nella disciplina a posta a tutela delle sue specificate esigenze.
La Consulta con questo ragionamento oltre ad esortare il legislatore ad un intervento riformatore della disciplina, che garantisca il perdurare dell’operatività della sostituzione della pena detentiva, ha ritenuto più opportuno ricorrere ad un intervento correttivo della norma censurata, procedendo con la sostituzione del minimo di 250,00 euro con quello di 75,00 euro per ogni giorno di pena detentiva sostituita, stabilito dall’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. che si applica al decreto penale di condanna.
In conclusione, la sentenza in esame rende ancora più attuale l’esigenza di una riforma della disciplina prevista in tema di pene pecuniarie; invero, le esortazioni fatte dalla Corte Costituzionale, per una riforma da parte del legislatore, credo che vadano ben oltre la disciplina della conversione, dovendo ricomprendere una modifica ben più profonda che possa estendersi alla struttura della specificata pena e ciò al fine di evitare che la stessa perda la sua effettività quale concreta alternativa alla pena detentiva.
Avv Giuseppina Bruno
Articolo scritto da: avv. Giuseppina Bruno il 06/03/2022