Art. 35 ter L. 26 luglio 1975 n. 354: rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 della CEDU.
1.
Premessa
Una pena legalmente inflitta può
tradursi in una violazione dell’art. 3 CEDU qualora le modalità di esecuzione
della restrizione in carcere provochino al detenuto un’afflizione di intensità
tale da eccedere la normale sofferenza legata allo stato detentivo.
E’ per questo che l’art. 3 CEDU ha
posto a carico degli Stati contraenti obblighi sia negativi che positivi
finalizzati a garantire ad ogni detenuto condizioni compatibili con il rispetto
della dignità umana.
In particolare l’art. 35 ter L.
26 luglio 1975 n. 354 disciplina i "Rimedi risarcitori
conseguenti alla violazione dell’art. 3 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nei confronti
di soggetti detenuti o internati”,consentendo al detenuto che abbia
subito il pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), per un periodo di
tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da
violare l’art. 3 della CEDU, di presentare istanza al magistrato di sorveglianza
volta ad ottenere, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della
pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci
durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio.
Qualora il periodo di pena ancora da
espiare sia tale da non consentire la detrazione di pena, il magistrato di
sorveglianza liquiderà al richiedente, in relazione al residuo periodo e a
titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari ad euro 8,00 per
ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio.
L’istanza va proposta dal detenuto
personalmente o tramite difensore munito di procura speciale, a pena di
decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della
custodia cautelare in carcere.
2.
La Suprema
Corte di Cassazione a Sezioni Unite sui criteri di valutazione dell’istanza ex
art. 35 ter O.P.
La Corte Suprema di Cassazione a
Sezioni Unite si è recentemente espressa sui criteri valutabili ai fini
della concessione del risarcimento ex art. 35 ter O.P. con la sentenza n.6551 del 24.9.20 stabilendo importanti
principi di diritto cui il Magistrato di Sorveglianza deve ispirarsi nella
valutazione dei casi di "detenzione disumana”.
Le SS.UU. hanno innanzitutto chiarito
la questione relativa al calcolo della superficie disponibile nella cella e valutabile
per stabilire se ci sia stata violazione dell’art. 3 CEDU, statuendo in maniera
dirimente che "nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadri si
deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e,
pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui
rientrano i letti a castello”.
Le SS.UU., inoltre, nella sentenza in
commento hanno trattato il problema relativo ai rapporti tra il sovraffollamento
e gli altri aspetti che incidono sulla condizione di detenzione, analizzando, quindi, sia i fattori negativi
che quelli positivi.
Ebbene è stato statuito che nell’ipotesi
di grave sovraffollamento, ricorrente nei casi in cui lo spazio individuale
minimo intramurario sia inferiore a 3 mq, calcolato al netto degli
arredi fissi, la violazione dell’art. 3 della CEDU risulta integrata ipso
iure quando il detenuto abbia scontato la pena in regime c.d "chiuso”,
ossia con la possibilità di fruire di un numero di ore d’aria inferiore ad 8 h
al di fuori della cella.
Nel caso in cui, invece, il detenuto
sia stato sottoposto a regime "semiaperto”, ossia gli sia stato consentito
di trascorrere fuori dalla cella un numero di ore d’aria pari o superiore ad 8
h, affinchè venga esclusa la violazione dell’art. 3 della CEDU occorre che
siano sussistenti i c.d. "fattori compensativi”, quali la breve durata della
detenzione, le dignitose condizioni carcerarie nonchè la sufficiente libertà di
movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività.
Tali fattori devono ricorrere
congiuntamente per permettere di superare la "forte presunzione” di violazione,
dovuta all’attribuzione di uno spazio individuale inferiore al minimo di tre
metri quadrati, e devono essere dimostrati dall’Amministrazione penitenziaria.
Qualora, invece, il detenuto abbia
avuto a disposizione uno spazio individuale compreso tra i 3 e i 4 mq,
la sussistenza di fattori compensativi unitamente ad altri di carattere
negativo (quali a titolo esemplificativo: l’assenza di ventilazione e di luce,
l’accesso limitato alla passeggiata all’aria aperta o la mancanza di intimità
nella cella) potrà essere valutata dal Magistrato di Sorveglianza al fine di
ritenere violato l’art. 3 della CEDU.
In quest’ultimo caso, però,sarà onere
del detenuto indicare nell’istanza i fattori negativi di cui sopra, mentre
l’Amministrazione potrà sempre opporre i fattori compensativi per contrastare
la domanda.
Infine, nel caso in cui lo spazio
individuale sia superiore a 4 mq, la violazione dell’art. 3 CEDU sarà
sempre esclusa e pertanto la domanda rigettata, senza che possano essere presi
in considerazione altri fattori.
3.
Conclusioni.
In questa importante pronuncia la Corte
di Cassazione a Sezioni Unite ha finalmente chiarito che il riconoscimento di
trattamenti disumani e degradanti non deve essere legato soltanto ad un mero
calcolo matematico, costituito dallo spazio individuale intramurario garantito
a ciascun detenuto, ma al contrario deve essere il frutto di una valutazione
multifattoriale dell’offerta trattamentale fornita in concreto
dall’Amministrazione penitenziaria durante il periodo di restrizione.
La valutazione di tali fattori, sia
compensativi che negativi, unitamente al dato oggettivo dello spazio
individuale, costituirà dunque lo strumento attraverso cui il Magistrato di
Sorveglianza potrà stabilire se nel caso concreto posto alla sua attenzione si
sia verificata effettivamente una detenzione inumana tale da giustificare la
riduzione di pena o il diritto ad ottenere il risarcimento del danno.
Avv. Rosanna
De Canio