La cultura ( da costruire) delle “investigazioni difensive 28 marzo 2014: si apre tra qualche ora qui a Bergamo il primo convegno nazionale, organizzato dalla Unione delle Camere penali italiane, su le “investigazioni difensive”. Introdotte con la legge n. 397/2000 entrata in vigore il 18 gennaio 2001 le “indagini del difensore”, disciplinate dagli artt. 391 bis e seguenti del codice di rito penale non sono decollate come ci si aspettava. Nonostante gli sforzi dell’ Unione che, nei corsi di formazione, ha sempre privilegiato lo studio, l’approfondimento- anche pratico- e la metabolizzazione degli istituti previsti dagli articoli introdotti dalla legge 397, le investigazioni del difensore non hanno avuto il successo che si sperava e soprattutto non hanno avuto l’impatto che si sperava sul processo. Le ragioni, a parere di chi scrive, possono sintetizzarsi in : 1. Prevenzione da parte del giudicante del materiale probatorio promanante dalla difesa. La difesa è parte del processo con eguale dignità rispetto alla parte pubblica, ma agli occhi del giudicante è pur sempre un parte “privata” che lavora per produrre il miglior risultato per il proprio cliente. Il Pm invece, parte pubblica, è considerata quasi, se mi si consente l’acrobazia linguistica, parte “super partes” , e pertanto il materiale probatorio che il pm introduce nel processo ha una attendibilità diversa. Seppur confutabili in contraddittorio le prove raccolte dal Pm finiscono, ahimè, per avere una valenza maggiore per il giudicante. 2. Il problema economico : le investigazioni hanno un costo. Svolgere investigazioni difensive con la collaborazione di ausiliari, consulenti, ed esperti è una attività entusiasmante per il difensore. Costui si trova ad essere il centro di gravità (permanente) della strategia difensiva : detta le linee programmatiche degli obiettivi da raggiungere, dirige le indagini, focalizza i temi rilevanti per la difesa, coadiuva e coordina i consulenti. Ma per fare ciò occorre non solo capacità professionale, ma anche disponibilità di clienti con possibilità economiche buone che possano sobbarcarsi i costi di un team difensivo capace di confrontarsi adeguatamente, e con gli stessi mezzi possibilmente, con l’accusa. E non è facile : a volte anche l’ascolto dei testimoni a discarico, sentiti con la registrazione e la successiva trascrizione operata da stenotipisti privati, rappresenta un costo aggiuntivo che non tutti i clienti possono permettersi. Ne discende che sono privilegiati ( ma và…!) gli imputati o le parti civili con maggiore capacità economica. 3. La generale modesta professionalità dell’avvocato investigatore Uno dei principi, acclarati, in tema di investigazioni difensive è quello secondo il quale, e quindi, più tecnicamente parlando, in ogni stato e grado del processo e anche prima e al di fuori del processo, l’avvocato può svolgere indagini. La disposizione da cui discende tale possibilità è senz’altro quella dell’art. 327 bis che al primo comma recita : “Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabiliti nel titolo VI bis del presente libro”. Tra l’altro il comma 2 prevede esplicitamente la possibilità di svolgere investigazioni difensive per il procedimento di revisione : “La facoltà indicata al comma 1 può essere attribuita per l’esercizio del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione”. Sicchè è codificata la possibilità di svolgere investigazioni difensive per valutare ed eventualmente promuovere il giudizio di revisione. E probabilmente in questa fase che si possano apprezzare in maniera più tangibile le innovazioni introdotte con la legge n. 397/2000. Detta normativa ha rappresentato una vera e propria svolta culturale per l’attività difensiva dell’avvocato penalista. La possibilità di ricercare mezzi di prova a favore dei propri assistiti rappresenta il passaggio finale da una figura di avvocato legata allo studio degli atti e delle inchieste predisposte da altri, ad una nuova figura “propulsiva e dinamica” che prevede la possibilità di costruire la difesa non solo con atti documentali, ma anche con l’acquisizione di informazioni e di deposizioni rese da persone informate dei fatti e ascoltate con le osservanze delle condizioni di cui agli articoli 391 bis e seguenti c.p.p. . Purtroppo però, giova constatare che molti penalisti non hanno introitato per intero questa svolta culturale. Svolta che da grandi possibilità al difensore ma che gli conferisce, parimenti, grandi responsabilità. Le indagini difensive vanno svolte con grande preparazione, con grande abnegazione, e con grande attenzione. Spesso assistiamo alle performances di avvocati che non riescono neanche a fare ammettere al processo le attivtà svolte perché le stesse sono inficiate degli elementi base perché possano ritenersi validamente effettuate. Non dirò ( perché il tema è molto ampio) di quel collega di Torino che qualche hanno fa “scelse” le dichiarazioni da inserire e quelle da “eliminare” ( dello stesso verbale di assunzione di dichiarazioni testimoniali ai sensi dell’ar. 391 ter) dal fascicolo e che gli costò una denuncia per falso sulla quale si arrivò a pronunciare il Supremo collegio ( sezioni Unite ) della Cassazione, che sentenziò confermando al condanna e ribadendo che il difensore , nel momento dell’assunzione di prove è pubblico ufficiale. Invece, mi è capitata tra le mani , di recente, questa massima della Cassazione : “In tema di investigazioni difensive, le informazioni assunte che sono documentate in un verbale mancante delle generalità della persona che le riceve, della sottoscrizione, nonché dell’autentica stessa sono da considerarsi inutilizzabili, in base a quanto disposto dal comma 6 dell’art. 391 bis”(Cass . sez. II penale 16/1/2013 n. 20460). Cioè, a leggere la massima si comprede che il difensore-investigatore, o l’ausiliario, in quel caso, non avevano indicato neanche le loro generalità né avevano autenticato la firma del dichiarante come prescrive un chiaro articolo del codice di procedura penale inserito nel capo delle “investigazioni del difensore”.! Vale a dire, ci si era avvicinati al compimento di un atto foriero di gravi responsabilità ( non solo professionali) del difensore con il pressapochismo di un dilettante. Esempi come questo screditano il nostro ruolo e confermano la “diffidenza” dei giudicanti nei confronti del materiale proveniente dalla difesa. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ La pima relazione del convegno che sta per iniziare è titolata “ La cultura delle investigazioni difensive”: ebbene ripartiamo ( noi difensori) da quella, dalla “cultura”. Senza l’effettivo recepimento culturale del nostro ruolo, della delicatezza della nostra funzione, e della responsabilità che abbiamo nel difendere e soprattutto nel difendere investigando”, non potremo generare prodotti investigativi difensivi dignitosi e capaci di far breccia, per rispetto delle forme, per completezza, per specificità, per aderenza al tema che intendiamo provare, nelle menti e nelle coscienze del “Giudice terzo” ( che invochiamo a gran voce) e che vuole e deve guardare parte pubblica e parte privata, con gli stessi occhi e, valutare quanto essi propongono in materia probatoria, con la certezza, sempre, che trattasi di materiale “doc” sia nella forma che nella sostanza. Aiutiamo chi governa il processo a guardarci come attori preparati. Bergamo 28 marzo 2014 Avv. Filippo Castellaneta