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Abrogare il carcere per le donne.

Abrogare il carcere per le donne.

LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE AL FEMMINILE 

1. Premessa . Il lento tramonto del carcere come pena esclusiva.

 La previsione della pena come  "carcere”, come  "detenzione”, come "il rinchiudere”   è ormai superata concettualmente, culturalmente e giuridicamente perché inadatta a compiere la sua "missione rieducativa”.
Infatti, si sta facendo largo  una cultura giuridica diversa che accetta favorevolmente la previsione di sistemi sanzionatori penali "alternativi” al carcere.
La previsione della messa alla prova e quindi lo svolgimento di lavori socialmente utili alla collettività,  la previsione di misure alternative più ampie, la previsione di una giustizia  riparativa delle vittime dei reati, la possibilità di una mediazione penale anche nella fase della esecuzione rappresentano il futuro,  sebbene  siano numerosi i rigurgiti  carcerogeni della recente legislazione e  siano altrettanto frequenti gli aumenti indiscriminati delle pene edittali previsti proprio al fine di evitare che il condannato possa beneficiare di misure diverse dal carcere.
Il solco culturale comunque è tracciato, è moderno,  e va coltivato evitando le controriforme autoritarie volute, purtroppo, da politici molte volte "inconsapevoli” e votati ad accontentare l’inarrestabile desiderio  popolare di carcere a tutti i costi. 
 Il carcere non deve essere più al centro dell’attenzione  sanzionatoria  penale: esso deve cedere il passo ad altre sanzioni, diverse, davvero  rieducative e capaci di scongiurare il pericolo di recidiva che, invece, la detenzione carceraria, non evita anzi, dati alla mano, favorisce.
Il carcere come pena è pertanto sul viale del tramonto. 
Sarà un camino lento ma ineluttabile.


2. Il carcere e le donne.

Il fallimento del carcere come pena capace di rieducare si apprezza in maniera ancor più efficace con riguardo alle misure alternative alla detenzione che il legislatore ha previsto per le donne che delinquono.
E’ palese che Il legislatore negli anni successivi al 1975 è stato incapace direi di prevedere e di  gestire  la donna in carcere e quindi ha cercato perennemente di predisporre meccanismi capaci di evitare per quanto possibile tale evenienza : e tanto  per la naturale considerazione che  una donna è portatrice di diritti che trascendono la sua persona.
La donna in carcere subisce una punizione nella affettività e nella sessualità che coinvolgono la sua persona e quella del partners ma viene punita  anche nella maternità. Tale  supplizio che coinvolge lei, il suo partner ed anche, ahimè , una terza inconsapevole persona : il bambino.
La impossibilità del legislatore ( dal 1975 ad oggi) di prevedere una apposita disciplina per la detenzione femminile ha favorito la previsione di misure tampone per cercare, invano, di rimediare alla estrema afflittività della detenzione femminile che come detto sopra, involge in maniera drammatica, spesso ,i diritti inviolabili di una terza persona minore e indifesa.
Ecco allora il proliferare di strumenti che possano affievolire la durezza e assurdità del carcere e favorire quanto meno la affettività  e la maternità
Ma tali strumenti  hanno risolto il problema?  oppure hanno soltanto cercato  di lenirlo e affievolirlo con scarsi risultati? 

Esaminiamo tali strumenti.

3. Le previsioni normative per evitare il carcere alle donne. 
a) Cautelari.
Allorchè debba essere disposta una misura cautelare nei confronti di  una donna incinta o madre con prole di eta’ non superiore a sei anni in fase cautelare, il legislatore ha previsto l’ applicazione della seguente norma :
- 275 comma 4 c.p.p. "Quando imputati siano una donna incinta o madre prole di età non superiore a sei anni con lei convivente , ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente  impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta  o mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di particolare rilevanza”.
La misura degli arresti domiciliari è così disciplinata nel rito penale :
284 c.p.p. I comma . " con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice  prescrive all’imputato di non allontanarsi dalla propria  abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta”.

La legge n. 62 del 21 aprile 2011 ha poi introdotto  la figura degli istituti  a custodia attenuata per detenute madri.

In conseguenza nel codice di rito penale è stato introdotto l’art . 285 bis c.p.p.  che prescrive " nelle ipotesi di cui all’art. 275 comma 4, se la persona da sottoporre a custodia cautelare  sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano”.
La possibilità di applicazione di misure attenuate è comunque subordinata all’assenza di situazioni cautelari di eccezionale gravità.


Le previsioni normative per evitare il carcere alle donne. 
b) Detentive, successive alla condanna definitiva.

Le misure alternative alla detenzione per le condannate donne, previste dal nostro ordinamento  sono le seguenti :
a) L’affidamento in prova al servizio sociale. L’art. 47  ord. Pen. ( L. 354/1975)prescrive : " Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare”.
b) La detenzione domiciliare. L’art. 47 ter ord. Pen. (L.354/1975) comma 1, recita " La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto possono essere espiate nella propria  abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di assistenza o accoglienza ovvero, nell’ipotesi di cui alla lettera a) in case famiglia protette quando trattasi di :
a) Donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni 10  con lei convivente;
b) Padre esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole; 
c) La detenzione domiciliare speciale. L’art. 47 quinquies ord. Pen.(L- 354/1975)  prevede la detenzione domiciliare  speciale . La norma recita : "Quando non ricorrono le condizioni di cui all'art. 47 ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo "
"Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull'amministrazione penitenziria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale"spiare
 d) Altre misure sono state introdotte sempre dalla legge 62/2011 e volte a favorire, in casi assolutamente particolari e gravi, il rapporto tra madre detenuta e figlio.
E’ stato infatti introdotto nella legge sull’ordinamento penitenziario l’art. 21 bis dal titolo  Assistenza all’esterno di figli minori.
Detta norma recita  " Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ad  anni dieci, alle condizioni previste dall’art. 21”.
"Si applicano le disposizioni relative al lavoro all’esterno, in particolare l’art. 21, in quanto compatibili”
La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”

Inoltre, è stato  introdotto l’art. 21 ter ord. Pen. che prevede le visite della madre detenuta al minore infermo o al figlio, al coniuge o convivente affetto da handicap in situazione di gravità.
Tale norma è cosi strutturata:
" In caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore, anche non convivente ovvero nel caso in cui il figlio sia affetto da handicap in situazione di gravità, ai sensi dell'art. 3 comma 3 legge 5 febbraio 1992 n. 104, accertata ai sensi dell'art.4 della medesima legge, la madre condannata, imputata o internata, ovvero il padre che versi nelle stesse condizioni della madre, sono autorizzati, con provvedimento del magistrato di sorveglianza o, in caso di assoluta urgenza, del direttore dell'istituto, a recarsi, con le cautele previste dal regolamento, a visitare l'infermo o il figlio affetto da handicap grave. In caso di ricovero ospedaliero, le modalità della visita sono disposte tenendo conto della durata del ricovero e del decorso della patologia".
Il secondo comma della stessa norma prevede poi la possibilità della madre condannata, imputata o uinternata o del madre, qualora la madre non ci sia o sia impossibilitata, ad accompagnare il figlio minore infermo o affetto da handicap nel momento in cui effettua visite specialistiche.
 
Come ognun vede si tratta di norme alquanto particolari  e che prevedono situazioni eccezionali.

In sede cautelare, inoltre il giudice deve valutare se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che non consentano l’applicazione di misure attenuate.
Sicchè il giudice delle indagini preliminari potrebbe ritenere non meritevole di custodia attenuata la madre preferendo non rischiare una misura meno contenitiva e ritenendo quindi degne di migliore tutela le esigenze della collettività rispetto ai diritti della persona da arrestare e dei suoi congiunti.
In sede di applicazione della sanzione oltre i consueti limiti di pena ( 4 anni per la detenzione domiciliare speciale, 3 anni per l’affidamento e 2 per la detenzione domiciliare semplice) ricorre anche l’ostacolo normativo rappresentato dall’art. 4 bis O.p. ch esclude per tutta una serie di reati l’applicazione dei benefici e delle misure alternative previste dalla stessa legge.
E tra i reati "ostativi” ricorre anche, a mò di esempio concreto, la rapina aggravata molto spesso rappresentata dall’uso di un coltellino per pretendere poche decine di euro( classico  illecito di soggetti tossicodipendenti alla disperata ricerca di denaro per soddisfare la propria  dipendenza da sostanze stupefacenti).
Sicchè il legislatore prevede misure attentatrici per le detenute madri ma prevede anche paletti difficilmente evitabili  per ottenerle!
Le altre misure speciali previste dalla legge 62/2011  perché possano essere applicate, necessitano di situazioni di particolare "eccezionalità”, ossia la presenza di handicap gravi, e l’imminente pericolo di vita.
Situazioni, cioè,  che dovrebbero normalmente consentire a qualsiasi detenuto di poter usufruire di permessi al fine di aiutare o commiserare i suoi cari.
La loro previsione specifica certamente  non risolve il problema della presenza nelle carceri di minori innocenti ed inconsapevoli.
Secondo l’ultimo rapporto del Ministro  della Giustizia sarebbero quarantasette ( 47 ) i minori presenti nelle carceri italiane e che subiscono al restrizione della libertà insieme alla madre reclusa.
Il numero non deve apparire eseguo anzi è altissimo in quanto non è concepibile che un innocente inconsapevole subisca non solo al restrizione della sua libertà ma anche danni probabilmente  irreparabili al suo corretto sviluppo psico- fisico.

4. I danni irreparabili  per il minore ristretto in carcere con la madre .
Il legislatore italiano  sa bene  che l’impatto della carcerazione delle madri detenute sui figli è devastante .
Il Parlamento Europeo lo ha ricordato sin dal 2008.
Infatti, la risoluzione 13 marzo 2008  del Parlamento Europeo invita gli stati membri a "integrare la dimensione della parità  tra donne e uomini nella rispettiva politica penitenziaria, a tenere maggiormente presenti le specificità femminili, nonché a creare condizioni di vita adatte alle esigenze dei figli che vivono con il genitore detenuto”.
La legislazione italiana cerca di favorire il rapporto madre – detenuta figlio ma tutta una serie di ostacoli normativi, giuridici, amministrativi  ed economici  impedisce la effettiva applicazione di un principio e questo crea nocumento enorme alla creatura in fase di formazione.
Il bambino che vive  cresce in carcere  già in questa età sarà destinato  a sentirsi diverso dagli altri bambini. 
Lo afferma la scienza.
La restrizione in carcere e comunque in ambienti ove non è possibile una naturale libertà di movimento produce traumi.
Già Jhon Bowbly, psicologo britannico autore di studi sul rapporto madre –figlio (" Attachment theory”)  in un rapporto del 1951 su incarico dell’organizzazione  mondiale della sanità rispetto l’osservazione clinica di bambini separati dai genitori scriveva : " Si ritiene essenziale per la salute mentale che l’infante e il bambino sperimentino un rapporto caldo, intimo, ininterrotto con la madre nel quale entrambi possano trovare soddisfazione e godimento”.
Successivi studi di altri psichiatri infantili ( Paul Lyons e Ruth) dimostrano come un attaccamento di tipo sicuro è associato ad un ampia gamma di variabili di personalità sane.
Invece un tipo di attaccamento disorganizzato è facilmente riconducibile al possibile esordio  di tratti psicopatologici e in particolare a sintomi dissociativi (Neil Carlons, 1998 "La scienza del comportamento”).
Il bambino che vive in carcere, vive si con la madre non vien distaccato da essa ma deve comunque soggiacere alle regole del carcere, agli orari del carcere, vive la struttura carcere.
La difficoltà di accedere alle misure alternative speciali, le difficoltà di entrare nelle ICAM, le difficoltà economiche in cui versano le case famiglia sicuramente non permettono gli obiettivi che il parlamento  Europeo ed il legislatore italiano si sono prefissati. 
I bambini in carcere hanno un rapporto con le genitrici no naturale e organizzato ma artificiale e disorganizzato.
E gli studi psicologici e psichiatrici in riferimento all’infanzia ci dicono che un bambino che cresca in un ambiente che non favorisce un rapporto di tipo "organizzato” con la genitrice , diventa un minore a rischio di evoluzione psicopatica e potrebbe rilevare sintomi dissociativi.
In conclusione i bambini che crescono in carcere sono, loro malgrado, destinati ad avere disturbi di carattere dissociativo o addirittura psicopatologico. 
Pertanto, stiamo trattando un argomento che riguarda direttamente la salute di persone che non hanno commesso alcuna colpa e non devono scontare alcuna pena legittima.
   
5. Conclusioni. Il carcere per le donne deve essere previsto come "eccezione”.

La misura carceraria, cautelare o definitiva, deve essere applicata soltanto in casi eccezionali di estrema gravità e per delitti che comportino una pena edittale  alta e ledano beni giuridici di altissimo valore ( la vita innanzitutto). 
E’ ovvio che non si può pensare che le donne debbano restare esenti da restrizioni della loro libertà ove risultino per davvero pericolose aggressive e la loro pericolosità non sia contenibile con misure diverse.
Ma occorre ribaltare i presupposti : invece di ritenere il carcere la regola e le misure alternative, normali o speciali, la eccezione, occorre stabilire e prevedere che la regola per la donna è l’applicazione di una misura cautelare domiciliare (casa, REMS, comunità o casa famiglia) e la eccezione deve essere la misura infra muraria più affittiva ( il carcere).

Soltanto in questa maniera si potrà da un lato garantire la sicurezza e contenere la pericolosità della indagata o condannata  ma anche  rispettare il diritto della persona femminile ad essere moglie e sopratutto madre.

Soltanto in questa maniera si potrà rispettare il diritto della persona minore, legata da vincolo familiare con la donna ristretta, a vivere una adolescenza normale e aliena da traumi irreparabili che possano minarne lo  sviluppo psico –fisico attuale e futuro.

Soltanto così, in definitiva, si potrà evitare davvero che un bambino  innocente sconti sul suo corpo e sul suo essere pene per fatti commessi da altri.

Avv Filippo Castellaneta 18 novembre 2016 .Aula Magna della Corte di Appello di Bari, intervento al convegno "La condizione femminile nelle carceri”. 







Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 27/11/2016
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