CARCERE E SESSUALITA’
Il Magistrato di Sorveglianza di Firenze solleva eccezione di incostituzionalità dell’art. 18, comma 2, della L. 26/7/1975, n. 354 nella parte in cui prevede che “il controllo a vista” dei colloqui impedisce la effettuazione di rapporti intimi con il partner.
Il sovraffollamento, l’assistenza sanitaria insufficiente e le condizioni igieniche precarie, sono piaghe ormai note del nostro sistema penitenziario, ma non sono le uniche!
Quotidianamente i detenuti italiani sono costretti a scontare, non solo una pena privativa della libertà personale, ma anche “una pena corporale”, in quanto incidente sul corpo e sulla salute, ossia la “pena dell’astinenza sessuale forzata” (così la definisce A. Landino in “L’amore in carcere, un privilegio indifendibile”).
In molti Paesi europei e non solo, si è ritenuto necessario superare tale lacuna con una legislazione ad hoc, ma il nostro regime penitenziario, ed in particolare i nostri legislatori, continuano a tralasciare questo argomento nonostante due precise Raccomandazioni del Comitato dei Ministri dei 46 Stati Europei:
a) Raccomandazione n.1340/1997, art. 6 : si invitano gli Stati membri “a migliorare le condizioni previste da parte delle famiglie dei detenuti, in particolare mettendo a disposizione luoghi in cui i detenuti possano incontrare le famiglie da soli” ;
b) Raccomandazione 11/1/2006, regola n. 24 comma 4 “ Le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali”.
In Italia, quasi 10 anni fa, fu lanciata una proposta, quella di istituire le c.d. stanze della sessualità all’interno delle carceri italiane, ma detta iniziativa destò scalpore, animò dibattiti, ma non sortì l’emanazione di alcuna norma attuativa.
Attualmente, quindi, l’unico istituto che consente ai detenuti italiani di trascorrere del tempo con i propri familiari, ed in particolare con il partner, è il colloquio, con tutti i limiti e vincoli che esso possiede.
In base all’art. 18, co. 2, O.P., infatti, i colloqui possono avvenire “in appositi locali e sotto il controllo a vista del personale di custodia”.
Così com’è strutturato il diritto al colloquio ed all’incontro con i familiari, è facile intuire che i rapporti con la famiglia, che l’art. 15 O.P. inserisce tra gli elementi fondamentali del trattamento penitenziario, non vengono affatto tutelati bensì alterati, mortificati ed avviliti.
Non solo, questa “astinenza forzata”, ha anche un altro prezzo, che avvilisce profondamente la persona del detenuto ed ha ricadute stressanti sul piano psico-fisico, cioè il ricorso a pratiche masturbatorie o di omosessualità coatta (da un articolo pubblicato sulla rivista ristretti orizzonti, si evince che il 70-80% dei detenuti si presta a pratiche omosessuali).
A porre l’accento sulla gravità di questa situazione, lesiva dei diritti fondamentali della persona umana, è stato il Magistrato di Sorveglianza di Firenze che, con ordinanza n. 1476/2012 ( ric. Tellini), ha sollevato l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 18 co. 2 O.P..
Tale norma, afferma il Giudice remittente, nega il diritto alla famiglia ed impedisce il mantenimento delle relazioni affettive con il coniuge o convivente.
Si legge, infatti, nella citata ordinanza che “il semplice colloquio tra recluso e familiare è limitato e limitante e rischia di inaridire i rapporti”.
Il Magistrato fonda la eccezione di incostituzionalità sulla violazione, da parte della norma impugnata, dei seguenti principi costituzionali:
L’art. 2 nella parte in cui riconosce ai cittadini i diritti inviolabili dell’uomo;
L’art. 3, co. 2, nella parte in cui afferma che è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli che di fatto… impediscono il pieno sviluppo della personalità umana…”;
L’art. 27, co. 3, nella parte in cui vieta trattamenti penitenziari contrari al senso di umanità e sancisce lo scopo rieducativo della pena;
L’art. 29 e 31, nella parte in cui sanciscono l’importanza del diritto alla famiglia e impongono alla Repubblica di proteggere la maternità, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
Inoltre si fa preciso riferimento anche a norme europee, quali la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (l.848/1955), in particolare gli articoli 3 ( divieto di trattamenti inumani e degradanti) e art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), nonché alle raccomandazioni approvate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (n. 1340/1997, art. 6 co. 6 e la racc. 11.01.’06 art. 24 co.4 ) sopra citate.
Tali raccomandazioni, come abbiamo visto, norme non solo ribadiscono il divieto di trattamenti inumani e degradanti ma nello specifico impongono agli stati membri di “migliorare le condizioni per le visite previste da parte delle famiglie, in particolare, mettendo a disposizione luoghi in cui i detenuti possano incontrare le famiglie da soli” e che consentano “di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali”.
Cosa deve intendersi per relazioni “normali”?
E’ palese come una visita intima breve, non solo limita e condiziona la libertà di espressione della coppia, ma produce un effetto umiliante sia per il detenuto, ma anche e soprattutto per il familiare che giunge in carcere.
Ecco perchè è importante puntare su di una scelta che garantisca non solo la sessualità in sé e per sé considerata, ma che venga inserita all’interno dell’affettività in generale.
E’ necessario coinvolgere l’intero nucleo familiare, e le visite, ove possibile, devono essere prolungate, anche fino ad un massimo di 72 ore.
L’orientamento europeo, in materia, in alcuni Paesi è orientato in questa direzione.
A tal proposito è opportuno indicare quanto alcuni Stati hanno previsto :
o In Croazia sono previsti colloqui non controllati di 4 ore con il partner, con frequenza settimanale;
o In alcuni lander della Germania sono stati costruiti appartamenti, interni al carcere, dove i detenuti condannati a lunghe pene possono incontrare i propri cari;
o In Francia e Belgio ci sono sperimentazioni in appartamenti, per periodi prolungati di 48 ore, con la imputazione dei costi ai parenti dei detenuti.
Anche fuori dall’Europa non mancano esperienze analoghe, in Canada, ad esempio, sono ammessi incontri di durata fino a 3 giorni in prefabbricati, siti nel perimetro degli istituti, in cui è assicurata la più completa intimità.
Nel nostro ordinamento manca, quindi, fino ad oggi una manovra in tale direzione, una previsione, cioè che restituisca ai detenuti non solo un’opportunità sessuale, ma anche e soprattutto affettiva e di dignità, un’opportunità che gli consenta di essere riconosciuti essere umani a pieno titolo, con esigenze fisiche naturali che non devono destare scalpore nell’opinione pubblica.
Come afferma Michel Foucault in Sorvegliare e Punire, <<… la pena “dolce” della detenzione, affermatasi in epoca moderna in contrapposizione ai supplizi, non ha eliminato né il carattere violento dei castighi, né la punizione dei corpi.>>.
Ecco perché l’astinenza sessuale è una pena corporale vera e propria, inutilmente vessatoria e non rieducativa.
Sarà , dunque, la Corte Costituzionale,a stabilire se la norma impugnata sia lesiva dei diritti della persona detenuta e soprattutto del suo diritto a vedere inalterata ( seppure ridotta) la sua affettività con le persone della sua famiglia.
L’augurio è che l’intervento del Giudice delle Leggi si muova e si proietti in una direzione diversa e più “effettivamente garantista” dei diritti della persona come impone l’art. 2 della nostra Carta Costituzionale.
Dott.ssa Anita Di Girolamo