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Fatti di droga di lieve entità: diacronia legislativa e sinossi giurisprudenziale

Fatti di droga di lieve entità: diacronia legislativa e sinossi giurisprudenziale

DIACRONIA LEGISLATIVA e SINOSSI GIURISPRUDENZIALE
sui presupposti della "LIEVE ENTITÀ” del fatto in materia di sostanze stupefacenti.

1.La "storia” della normativa in materia di detenzione di stupefacenti per fatti di "lieve entità.

L’art.73 comma 5 d.P.R. 309/90 dispone che "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”.

La disposizione, in altri termini, facendo riferimento ai "fatti” previsti dall’art. 73 comma 1, il quale punisce con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 chi coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope, prende in considerazione l’ipotesi in cui tali condotte si verificano in una forma più lieve, e quindi abbiano una  valenza offensiva minore.

Sin dalla sua introduzione con la l. 162/1990 e, successivamente, con le modifiche apportare dalla l. 49/2006, tale fattispecie è stata qualificata quale circostanza attenuante speciale, comportante una mitigazione delle pene previste per il reato base dall’art. 73 comma 1 d.P.R. 309/90.

La successiva  riforma della disciplina sugli stupefacenti intervenuta con la l. 49/2006 ha lasciato inalterato il comma 5 dell’art. 73, seppur è stato necessario il suo adeguamento a seguito della equiparazione (avvenuta con la menzionata riforma) delle cd. droghe pesanti e cd. droghe leggere. 
Pertanto, i fatti di "lieve entità”, a seguito della entrata in vigore della legge 49/2006, erano puniti con la pena prevista per i reati riguardanti le droghe cd. pesanti, da 1 anno a 6 anni di reclusione, oltre la multa.

Nuova modifica è intervenuta con il d.l. n. 146/2013: il comma 5 è stato nuovamente modificato, in primo luogo riducendo il massimo edittale della pena detentiva da 6 a 5 anni e in secondo luogo la fattispecie da circostanza attenuante è divenuta una fattispecie autonoma di reato.
Nelle more della conversione in legge del su menzionato decreto legge, era intervenuta la Corte Costituzionale che con la nota sentenza del 12 febbraio 2014, n. 32 ha dichiarato l’incostituzionalità per eccesso di delega della legge Fini-Giovanardi, facendo tornare in vigore la previgente normativa contenuta nella l. 162/1990 (cd. legge Iervolino-Vassalli) e di conseguenza ripristinando la differenziazione tra le cd. droghe leggere e le cd. droghe pesanti.
La l. 162/1990 in relazione ai fatti di lieve entità puniva con la reclusione da 1 a 6 anni, oltre la multa, i fatti relativi alle cd. droghe pesanti e con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, oltre la multa, i fatti relativi alle cd. droghe leggere.

Con il decreto legge n. 146 del 23 dicembre 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 10 del 21 febbraio 2014, il comma 5 è divenuta una fattispecie autonoma di reato, punita con la pena della reclusione da 1 anno a 5 anni, senza distinzione in base alla tipologia di sostanza stupefacente.

Pertanto, non essendo più qualificabile quale circostanza attenuante ad effetto speciale, nei suoi confronti non sono più applicabili i criteri di bilanciamento delle circostanze previsti ai sensi dell’art. 69 comma 4 c.p. (Cass. sez. IV, 28 febbraio 2014, n. 10514).
Un nuovo intervento legislativo, il d.l. n. 36/2014, convertito nella legge n. 79/2014, ha modificato la disciplina della "lieve entità”, mitigando il regime sanzionatorio, prevedendo la pena della reclusione da 6 mesi a 4 anni, oltre la multa. 
Il limite massimo edittale di 4 anni consente non solo l’applicazione dell’art. 381, comma 1, c.p. (arresto in flagranza) con il conseguente giudizio direttissimo, ma anche la possibilità di chiedere ai sensi dell’art. 168 bis ss. c.p. la sospensione del processo con messa alla prova. È opportuno ricordare che per l’ipotesi di cui al comma 5 è preclusa l’applicazione della misura cautelare custodiale in carcere. 

2. Sinossi giurisprudenziale dei casi di "lieve entità.

Deputato alla valutazione circa la concreta offensività del reato è il giudicante, il quale è tenuto ad effettuare un vaglio della fattispecie concreta, prendendo in considerazione le modalità, i mezzi, le circostanze dell’azione, la qualità e la quantità della sostanza. 
Importante rimarcare che dalla dizione legislativa si evinca l’esclusione di tutti quegli aspetti che riguardano non solo la personalità del reo, ma anche i suoi precedenti specifici (Cass. sez. VI, 29 maggio 2003, n. 35235).
Sul punto dubbi sono sorti in relazione alla necessità, ai fini della configurazione della "lieve entità”, che tutti i parametri indicati dal comma 5 coesistano o se, al contrario, sia sufficiente la presenza/prevalenza anche di un solo elemento.
 
Pressoché uniforme è l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudicante è chiamato ad effettuare una valutazione globale che non solo comprenda tutti i parametri (Cass. Pen, Sez. VI, 5 marzo 2013), ma che tenga conto, caso per caso, di tutte le caratteristiche peculiari della vicenda giudiziaria posta al suo esame (Cass., Sez. VI, n. 46495/2017), di modo che la determinazione del trattamento sanzionatorio da applicare sia scevro da qualche tipo di automatismo (Cass., Sez. VI, n. 39374/2017); anche se, v’è da precisare, che qualora finanche uno solo degli elementi facesse propendere per l’esclusione della "lieve entità”, l’applicazione del 5 comma è da considerare preclusa (Cass., sez, IV, 21 maggio 2008, n. 22643). 
Indubbiamente il parametro quantitativo (dato ponderale) è quello che assume preminenza rispetto agli altri e dunque nell’ipotesi in cui la quantità di stupefacente risulti decisamente preponderante, il fatto certamente non potrà essere qualificato come di "lieve entità” (Cass., sez. IV, 21 dicembre 2004, n. 10211). 

Particolare  menzione, sul tema, merita la sentenza n. 40/2019 con cui la Corte Costituzionale nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art 73, comma 1, d.P.R. 309/90 ha chiarito che la "lieve entità” del fatto deve essere riconosciuta solo nei casi in cui la condotta abbia prodotto una minima offensività penale, evincibile da tutti i parametri richiamati dal comma 5. 
Ipotesi particolare riguarda la detenzione di sostanze stupefacenti eterogenee e la possibilità che anche in tali ipotesi si possa parlare di "lieve entità”. A tal riguardo la giurisprudenza non è affatto concorde, in quanto da un lato si pone la Suprema Corte affermando l’esclusione della "lieve entità” nel caso di detenzione di sostanze stupefacenti di diversa tipologia, dacché da una siffatta condotta emergerebbe la capacità del soggetto agente non solo di procurarsi sostanze tra loro eterogenee, ma anche di rifornire assuntori di droghe di diversa natura, arrecando per tal via un danno non tenue al bene della salute pubblica (Cass., sez. IV, n. 6626/2016)
Di contro, la giurisprudenza maggioritaria ritiene non preclusa l’applicazione della "lieve entità” nel caso di detenzione di stupefacenti di diversa natura, in quanto la valutazione in merito alla concreta determinazione dell’offensività deve essere necessariamente complessiva, dunque prendendo in esame tutti i parametri indicati dal comma 5 (Cass., sez. IV, n. 49153/2017). 

Tale ultima riferimento conferma il dato principale evincibile dalla analisi giurisprudenziale: e cioè che il Magistrato procedente, al fine di riconoscere la "lieve entità” richiesta del quinto comma dell’art. 73 DPR 309/90, deve effettuare una analisi globale e completa di tutti gli elementi della fattispecie concreta dando principale rilievo al dato ponderale e quindi considerare tutti gli altri dati collaterali alla quantità di stupefacente o rinvenuta nella disponibilità del reo.

Dott.ssa Rosmina Nanna  (praticante avvocato. Studio Filippo Castellaneta).

Articolo scritto da: dott.ssa Rosmina Nanna il 01/08/2020
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