Cultura del processo accusatorio e "immediatezza della deliberazione della sentenza”.
1. La normativa codicistica. La sua genesi.
L’art. 524 del codice di rito penale afferma che esaurita la discussione, il presidente dichiara chiuso il dibattimento.
L’art. 525 stabilisce che la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento.
Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.
Questa norma è un capisaldo del sistema accusatorio e in maniera stentorea afferma senza lasciare adito a dubbi : "la sentenza è il frutto della immediatezza della decisione e della immutabilità del Giudice”.
Va ricordato che l’art. 59 della legge delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale (Legge 3 aprile 1974 n. 108) prevedeva al punto 59) la direttiva di "immediatezza e concentrazione del dibattimento”.
Interessanti i concetti espressi, in materia di "immediatezza della deliberazione”, nella relazione preliminare al codice.
In questo testo si legge che il principio della immediatezza della deliberazione è "fondamentale”, e che tuttavia in seno alla commissione si era manifestata la idea di alcuni di prevedere un rinvio della "deliberazione” ad altra udienza e che tale principio era però collegato a quello di prevedere la obbligatorietà della motivazione contestuale.
Tuttavia, a seguito del dibattito sviluppatosi, si legge che : "La maggioranza della commissione ha respinto questa proposta. Il principio della immediatezza della deliberazione è sembrato imprescindibile nel nuovo processo per un triplice ordine di motivi.
In primo luogo, per il rilievo che il "punto 59” della legge delega attribuisce alla "immediatezza e concentrazione” del dibattimento.
L’impostazione accusatoria del nuovo dibattimento, con l’adozione dell’esame diretto, fa poi ritenere essenziale che gli effetti della immediatezza delle risposte rese dalla persone esaminate non siano cancellati dall’intervallo che si creerebbe, con il rinvio, tra istruzione dibattimentale e deliberazione.
C’è infine da osservare che il rinvio rende possibile il sovrapporsi nella memoria del giudicante dei fatti riguardanti altri processi cui nel frattempo egli partecipa e può consentire , inoltre, interferenze da parte di estranei con i quali può venire a contatto nell’intervallo"
E’ stato così riconfermato il principio di immediatezza con la precisazione che una volta iniziata la deliberazione deve essere di regola conclusa senza interruzioni, salvi i casi di assoluta impossibilità” ( rel. Preliminare all’art. 497 originariamente previsto con il titolo "immediatezza della deliberazione”).
La immediatezza, dunque è principio fondamentale e sta a significare che terminata la discussione della difesa (cui compete, ai sensi dell’art. 523 comma 5 c.p.p., per ultima la parola). il Giudice o il collegio si ritirano in camera di consiglio per deliberare.
Ma. C’è un ma.
Perché una regola possa dirsi tale e garantirsi il rispetto, deve essere prevista una sanzione alla sua inosservanza. Così non è nel caso che ci occupa.
Mentre per il principio di immutabilità del Giudice la sanzione c’è, ed è prevista a pena di nullità, per il principio della immediatezza tale sanzione non c’è.
Quindi chi le eventuali eccezioni di irregolarità della decisione potranno difficilmente trovare accoglimento, e questo non è un fatto positivo e non rispecchia la cultura del processo accusatorio, atteso che la immediatezza della decisione, per le ragioni bene esposte nella relazione preliminare, è un cardine del processo e assicura che quanto espresso dai testimoni e soprattutto dal difensore dell’imputato e dallo stesso imputato a sua discolpa, rimanga ben impresso nelle menti dei giudici.
2.Opinioni di dottrina e giurisprudenza. Cassazione sez. III 30.01.2008 n. 4721.
Innumerevoli autori hanno scritto che questa previsione individua il momento in cui deve intervenire il provvedimento che definisce il processo ribadendo il principio di immediatezza, già presente nel codice Rocco, ed in base al quale non vi deve essere soluzione di continuità tra la chiusura del dibattimento e la deliberazione della sentenza (tra tutti : De Marsico, Ramajoli, Leone, Manzini) .
Anche il Tonini, tra gli autori contemporanei, ritiene illegittima la prassi di celebrare più dibattimenti nella medesima udienza - frequente nel caso di processi di scarsa rilevanza e complessità- prima di ritirarsi in camera di consiglio per la deliberazione : " si vuole che colui che decide lo faccia in base a sensazioni recenti e non a lontani ricordi” ( pag. 592 del Manuale di procedura penale VII edizione).
Tuttavia la Giurisprudenza è di diverso avviso. A parere di molte decisioni la camera di consiglio "collettiva” è si un a”prassi anomala”, ma che non infrange il principio della immediatezza ( Cass. Sez. V 31.1.2005 Geremicca CED 232203)
La questione viene proposta raramente come eccezione dinanzi il Massimo Collegio atteso che, come riferito sopra, non vi è una sanzione applicabile e attesa la invalsa prassi, passivamente accettata dai difensori, della lettura sentenza "ritardata” al termine dell’intera camera di consiglio.
Uno dei pochi precedenti in materia, riguarda il caso di una sentenza deliberata, in grado di appello, allorchè i giudici si erano ritirati dopo l’avvenuta discussione di un altro processo ( entrambi i processi riguardavano casi di violenza sessuale) ed offre uno spunto di riflessione.
In Cass. Pen. sez. III ud. 12.12.2007 dep. 30.1.2008, n. 4721 si legge che :
"Non è causa di nullità della sentenza nel giudizio di appello l’omesso ritiro in camera di consiglio dei giudici per la decisione subito dopo la chiusura della discussione essendo il principio dell’immediatezza della deliberazione volto a garantire continuità tra il momento di formazione della prova e quello della decisione, non riferibile al processo di appello di natura essenzialmente cartolare " ( Cass. Sez. III 30.1.2008 n. 4721) .
Nella motivazione si legge poi che :
"Sicuramente il principio dell’immediatezza della deliberazione enunciato nell’art. 525 c.p.p. mira a garantire la continuità tra il momento di formazione della prova e quello della decisione aiutando in tal modo a non disperdere le sensazioni che il giudice ricava dalla diretta percezione dell’assunzione della prova, ma tale principio non viene vulnerato nel giudizio di appello, allorchè non v’è stata rinnovazione istruttoria ed è intercorso un intervallo sospensivo di circa mezz’ora tra la chiusura della discussione d il ritiro in camera di consiglio da parte della Corte, giacchè il giudizio di appello, in assenza della rinnovazione istruttoria, è essenzialmente un giudizio cartolare al pari di quello celebrato in Cassazione.
In appello, e a fortiori in Cassazione, non v’è quindi il rischio che il giudice decida in base a percezioni e a ricordi lontani.
In ogni caso, non essendo prevista per l’inosservanza del principio dell’immediatezza alcuna sanzione..essa rimane priva di effetti sul processo”
La Corte quindi, in questo caso, opera un distinguo e afferma che poiché il principio di immediatezza è stato inserito per non disperdere nel tempo i risultati della prova acquisita a dibattimento e poiché in appello, quando non vi è rinnovazione della istruttoria, il giudizio ha natura meramente cartolare, il principio di immediatezza non si applica.
In ogni caso, comunque, non essendo stata prevista una sanzione, qualsiasi eccezione sul punto non ha motivo di essere.
Illustri autori (Domenico Carponi Schittar su "Gli oratori del Giorno di maggio 2014 pag. 25) hanno rilevato come la decisione della Corte sia errata in quanto:
1) Opera una ingiustificata distinzione tra processi di primo grado e processi di appello nonostante la norma dell’art. 598 c.p.p. stabilisca l’osservanza in grado di appello delle disposizioni relative al giudizio di primo grado;
2) Trascura clamorosamente l’apporto al processo fornito dall’imputato e dal suo difensore che hanno la parola per ultimi ai sensi dell’art. 523 c.p.p pure richiamato, per il grado di appello, dall’art. 602 c.p.p.;
3) Accomuna, quanto al caso specifico in esame, nella stessa camera di consiglio i dati di due processi aventi per oggetto lo stesso reato e che inevitabilmente hanno prodotto uno scambio immediato di sensazioni, dati, risultanze processuali temporalmente sovrapponibili e difficilmente, nell’immediato, distinguibili ed anzi capaci di generare confusione tra un giudicato e l’altro.
3. Riflessioni critiche. Conclusioni.
Alle condivisibili osservazioni sopra riportate , vanno aggiunte due riflessioni, i ordine genrale, a mio parere, decisive:
1) La mancanza di sanzione è l’ostacolo insormontabile ad una decisione corretta sul punto. Inspiegabile come si possa inserire un principio processuale fondamentale e non prevedere una sanzione per la sua inosservanza.
Tuttavia deve ricordarsi che l’art. 124 del c.p.p. afferma che "I magistrati, i cancellieri e gli altri ausiliari del giudice, gli ufficiali giudiziari,gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti ad osservare le norme di questo codice anche quando l’inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale”
E che :
"I dirigenti degli uffici vigilano sull’osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare”.
In tal caso i Magistrati di Cassazione non hanno tenuto in alcun conto questa regola, così come tutti quei magistrati adusi a svolgere camere di consiglio "collettive”.
Accade l’inverso per la regola della immutabilità del giudicante.
In quel caso i Magistrati sono attenti a richiedere il consenso delle parti (PM e difese) alla utilizzabilità degli atti, ben sapendo che senza questo consenso il processo sarebbe nullo, in quanto è prevista la sanzione.
Questa duplicità di comportamenti a fronte di norme che garantiscono i principi del processo accusatorio ribadisce ancora un volta che la procedura penale subisce adattamenti a seconda della necessità di "fare in fretta”, di fare statistica, di "fare presto” per evitare la prescrizione e quindi tutte le guarentigie per il corretto svolgimento dell’iter processuali, previste dagli ideatori del codice, vengono sacrificate sull’altare di una presunta "efficienza giudiziaria”.
Si sta perdendo la cultura del processo.
2) Da tempo si sta formando una corrente culturale e scientifica che ritiene il giudizio non più frutto (o non solo frutto di) sillogismi derivanti dalla logica aristotelica (sillogismo) ma anche da giudizi intuitivi.
In questo solco i più recenti studi sulle neuroscienze tendono a dimostrare che le emozioni svolgono un ruolo fondamentale in tutti i processi decisionali nessuno escluso.
Sicchè, si è scritto che "è venuta maturando nella cultura giuridica contemporanea la consapevolezza che la logica del sillogismo poco o niente ricalca le effettive modalità con cui si articola il pensiero dell’organo giurisdizionale al momento del formarsi della decisione, per cui il ricorso a tale modalità di argomentazione è radicalmente insufficiente a giustificare compiutamente le singole decisioni giudiziali” ( Santoriello ne "Il vizio di motivazione” ca. 2 il giudizio pagg 17-18).
Certo la decisione non è frutto di un”capriccio” o di stimoli irrazionali ( come voleva far intendere la teoria del realismo giuridico sviluppatasi in America), ma in essa si compenetrano e si combinano le risultanze dei dati processuali e quelle derivanti dalle "impressioni” proprie del giudicante.
Ed ancora in un recente studio degli autori Forza, Merengon e Rumiati si è scritto, nella introduzione al testo, che " Questo lavoro cerca di dimostrare, partendo dai risultati più recenti della ricerca scientifica, come tutti gli individui e perciò anche i giudici, quando sono chiamati a prendere una decisione possano incorrere nei biases, nelle euristiche del pensiero, ovvero nelle trappole cognitive, e come il loro procedere possa essere fortemente condizionato dalle emozioni e dalle cosiddette sensazioni affettive” (testo "Il Giudice emotivo .La decisione tra ragione ed emozione autori Forza, Merengon Rumiati edizioni Il Mulino) .
Sicchè appare sempre più evidente che la decisione, come è naturale che sia, è frutto di raziocinio ma anche della intuizione e delle emozioni che possono orientare il percorso deliberante.
Il Giudice ricostruisce la vicenda processuale con la sentenza.
Sulla decisione finale influiscono non solo le narrazioni che vengono assunte nel corso del giudizio ma anche quella proposte fuori dell’ambito processuale.
Nella società moderna, poi, sulla vicenda processuale, sia quella relativa ad un eclatante fatto di cronaca, sia quella più modesta ma inserita in filone di reati di particolare "allarme sociale” a seconda dei periodi storici, intervengono pesantemente i mass media (con la creazione "ad arte” di processi simbolici da dare in pasto al pubblico della tv) nonchè la rete ed i social con la creazione di correnti di pensiero che possono condizionare il giudicante e "non sempre in modo del tutto consapevole” ( come si legge nella prefazione al testo sopra citato).
A fronte di questo vero e proprio bombardamento di dati, giudizi, pregiudizi da parte della società che cerca di orientare il giudicante, probabilmente è bene che costui rimanga "isoalato” e che immediatamente decida sulla base dei risultati del processo, della discussione delle parti e delle parole dell’imputato.
Non a caso nelle camere di consiglio che durano più giorni i giudici sono collocati fuori dalla realtà quotidiana, proprio perché nessuna influenza possano essi ricevere nel momento in cui stanno portando a termine il difficile percorso decisorio giurisdizionale.
Allora recuperare la immediatezza della decisione ed evitare che stimoli e sensazioni esterne (anche relative a processi trattati nello stesso contesto) possano influire sulla decisione finale è un bene che non può che rendere migliore il prodotto finale del processo penale.
La decisione è deliberata dal Giudice che ha assunto le prove e quel giudice la emette immediatamente dopo la chiusura della istruttoria e la discussione delle parti.
Sono principi inderogabili, il cui rispetto va sempre assicurato per garantire dignità e solennità al processo penale.
Avv. Filippo Castellaneta
Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 15/04/2018