INDULTO : reiterabilità della richiesta per mutamento giurisprudenza
In questi giorni si parla molto di amnistia ed indulto : come al solito la ragion politica prevarrà sulla ragion giuridica.
Se e quando avremo il testo di (un) l provvedimento ci preoccuperemo di esaminarlo.
Ma il tema (giuridico) offre lo spunto per ricordare un eccellente intervento di qualche anno fa delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, proprio in materia di indulto, applicarono per la prima volta un principio garantista di sommo rilievo : la retroattività del mutamento di giurisprudenza favorevole al condannato.
La sentenza depositata il 23 maggio 2010 è la n. 18288 del 2010 ( Presidente Gemelli relatore Milo) ed espresse la seguente massima :
“ Il mutamento di Giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell’indulto in precedenza rigettata. ( La Corte ha precisato che tale soluzione è imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti Europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale)”
Il fatto era il seguente :
- Beschi Daniele veniva condannato alla pena di 20 anni di reclusione con sentenza del 23.4.1999 della Corte di Assise del Tribunale di Innsbruch;
- La sentenza veniva riconosciuta in Italia ai sensi dell’art. 731 c.p. ed il condannato trasferito in Italia per scontare la pena;
- Il condannato quindi chiedeva l’applicazione dell’indulto concesso con legge 31 luglio 2006 n. 241;
- La Corte di Appello di Milano, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 28.5.2008 rigettava la richiesta ritenendo, in aderenza alla Giurisprudenza di legittimità sino ad allora costante, non condonabile la pena detentiva inflitta con sentenza straniera;
- In seguito le SS.UU. della Cassazione con sentenza n. 36527 del 10 luglio 2008 ritenevano applicabile l’indulto anche alle persone condannate all’estero;
- Il condannato, quindi, reiterava la richiesta alla Corte di Appello di Milano che, questa volta, la accoglieva;
- Il Procuratore Generale di Milano proponeva ricorso per Cassazione eccependo la inammissibilità della richiesta perché basata sugli stessi presupposti di fatto e sulle medesime ragioni di diritto della precedente in quanto la norma dell’art. 666 comma 2 inibisce la reiterazione in executivis di una richiesta basata sui”medesimi elementi” di altra già rigettata.
- Il ricorso veniva assegnato alla prima sezione penale della Suprema Corte che con ordinanza del 9 luglio 2019 rimise la decisone alle Sezioni Unite per la risoluzione della questione relativa alla portata della nozione “medesimi elementi” di diritto, rilevante, secondo la previsione dell’art. 666 comma 2 c.p.p. ai fini della ammissibilità di una seconda richiesta da parte del condannato di applicazione dell’indulto.
Pertanto le Sezioni Unite dovettero dirimere la quaestio juris così sintetizzata : “ se il mutamento di Giurisprudenza intervenuto con decisione delle Sezioni Unite rende ammissibile o no la riproposizione della richiesta di applicazione di indulto in precedenza rigettata”.
L’analisi della Corte si è dipanata partendo dalla esegesi dell’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali ( “Nessuno può essere condannato per una azione od omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo la legge nazionale o internazionale. Parimenti non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato”).
Tale norma, si legge nella sentenza, pur enunciando formalmente il solo principio di irretroattività , è stata interpretata in dottrina ed in Giurisprudenza nel senso che essa delinea, nell’ambito del sistema europeo dei diritti dell’uomo, i due fondamentali principi penalistici del nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege.
La CEDU ha poi migliorato in chiave garantista, la portata dell’art. 7 prevedendo che in essa siano inclusi anche il principio di determinatezza delle norme penali, il divieto di analogia in malam partem, ed ha enucleato dal sistema della Convenzione un concetto di “legalità materiale” in forza della quale possono raggiungersi livelli garantistici più elevati di quelli desumibili dall’art. 25 Cost..
In definitiva, allora, la Corte EDU ha saputo distillare dalla disposizione dell’art. 7 “il condensato dei più importanti principi della civiltà giuridica europea”
Pertanto secondo le SS.UU. in commento, deve affermarsi che il processo di conoscenza di una norma presuppone una relazione di tipo concorrenziale tra potere legislativo e potere giudiziario, nel senso che il reale significato della norma non emerge unicamente dalla mera analisi del dato positivo, ma da un più complesso unicum che coniughi tale dato con l’atteggiamento della relativa prassi applicativa ( c.d. “diritto vivente”)
Proprio alla luce di tali considerazioni , allora, l’obbligo di interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo impone di includere nel concetto di “nuovo elemento di diritto” idoneo a superare la preclusione di cui al’art. 666 comma 2 c.p.p. anche il mutamento giurisprudenziale che assume, specie a seguito di un intervento delle Sezioni unite, massimo organo di nomofilachia, carattere di stabilità ed integri il cosidetto “diritto vivente”.
La sentenza in esame supera anche la considerazione relativa alla intangibilità del giudicato.
Infatti, sempre richiamando la CEDU, la Corte di Cassazione in commento ha ribadito che la giurisprudenza europea pur riconoscendo la validità del giudicato nazionale, ne relativizza il valore in situazioni particolari in cui le corrispondenti modalità di attuazione sino strutturate in maniera tale da rendere impossibile il concreto esercizio dei diritti previsti dall’ordinamento giuridico comunitario ( principio di effettività).
Una interpretazione diversa dell’art. 666 coma 2 cpp si porrebbe in contrasto con il principio di effettività delle norme comunitarie.
Sicchè le SS.UU. con la l sentenza 18288 del 13/5/2010 hanno stabilito che il mutamento giurisprudenziale , intervenuto con decisione delle sezioni unite integra un nuovo elemento di diritto che rende ammissibile, in sede esecutiva, la reiterazione di una richiesta di indulto in precedenza rigettata.
In questa maniera al Beschi è stato possibile applicare l’indulto e sarebbe stato davvero assurdo non applicarlo giacchè stava effettivamente scontando la pena in Italia a seguito del riconoscimento, nel nostro ordinamento, di una sentenza straniera.
Per giungere a tale conclusione, pienamente condivisibili, il nostro massimo organo di nomofilachia ha dovuto ricorrere ad un ragionamento giuridico capace di innestare nel nostro sistema principi già affermati in ambito comunitario.
Avv Filippo Castellaneta