INVESTIGAZIONI DIFENSIVE. IL POTERE ESPLORATIVO DEL DIFENSORE TRA PREVISIONI NORMATIVE E PERSISTENTI LIMITAZIONI
INVESTIGAZIONI DIFENSIVE
IL POTERE ESPLORATIVO DEL DIFENSORE TRA PREVISIONI NORMATIVE E PERSISTENTI LIMITAZIONI
1. Premessa.
Ho letto con attenzione il questionario che l’osservatorio "investigazioni difensive" della Unione delle Camere Penali ha sottoposto a tutti i suoi iscritti per verificare lo "stato dell’arte” in materia di investigazioni difensive.
L’iniziativa venne promossa all’open day di Rimini del 2019 e poi diffusa agli iscritti attraverso le camere penali territoriali.
Ho quindi deciso, stimolata dall’avv. Castellaneta, di scrivere qualcosa su questo istituto e sulle sue possibilità applicative.
La L. 397/2000 nell’intento di rendere effettiva quella parità tra accusa e difesa sancita dall’art. 111 Cost., ha introdotto un autonomo titolo dedicato alle investigazioni difensive, il Titolo VI-bis del Libro V, legittimando, all’art. 327 bis, comma 1, c.p.p.,
In virtù delle norme introdotte in tale titolo, il difensore a svolgere attività investigativa avente lo scopo di «ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito».
Nel dettaglio, si consente al difensore del soggetto indagato o imputato, della persona offesa e delle altre parti private, in forza di un regolare atto di nomina, di svolgere investigazioni in favore del proprio assistito sin dal momento di assunzione dell’incarico professionale e in ogni stato e grado del procedimento, rinviando al rispetto delle forme e delle finalità stabilite nel Titolo VI-bis del Libro V c.p.p..
Merito della riforma è sicuramente l’aver concesso al difensore di divenire parte attiva delle indagini non relegando più la sua attività alla semplice confutazione di quanto raccolto dal pubblico ministero in fase di indagini preliminari. Prevedendo anche l’eventualità che si riveli indispensabile che le indagine vengano svolte, su incarico del difensore, anche da sostituti, investigatori privati autorizzati.
Infine, la normativa prevede che l’avvocato difensore possa avvalersi dell’ausilio di consulenti tecnici, qualora risultino necessarie specifiche competenze.
La norma consente, non solo lo svolgimento di indagini preventive ai sensi dell’art. 391 nonies c.p.p., dunque in un momento antecedente rispetto all’instaurazione di un eventuale procedimento penale, ma anche di indagini suppletive, ossia in fase di indagini preliminari e fino all’apertura della discussione in udienza preliminare e, ancora, di indagini integrative ex art. 430 c.p.p., al fine di formulare richieste in sede dibattimentale.
2. Le attività consentite al difensore. La necessità di una specifica professionalità.
Le attività consentite al difensore sono state specificatamente individuate dal legislatore e sono le seguenti:
a) il difensore può avere un colloquio con persone in grado di riferire circostanze utili all’attività investigativa, ossia una conversazione non documenta;
b) può ricevere dichiarazioni scritte, autenticate dal difensore e contenenti affermazioni di colui che le rende;
c) può assumere informazioni per mezzo di un colloquio documentato.
L’art. 391 bis c.p.p. stabilisce le incombenze alle quali il difensore deve sottacere prima di compiere una delle anzidette attività, pena l’inutilizzabilità delle dichiarazioni o informazioni rese. Anzitutto lo stesso è tenuto a qualificarsi e ad informare la persona con la quale interagisce del fine del colloquio; altresì, deve riferire se intende semplicemente avere un colloquio o ricevere dichiarazioni o assumere informazioni, indicando in tali ultimi casi le modalità e la forma della documentazione; deve domandare se la persona è indagata o imputata nello stesso procedimento o in un procedimento connesso o collegato, nel cui caso è necessaria la presenza del difensore di fiducia o d’ufficio, il quale deve essere preavvisato almeno 24 ore prima; deve informare del divieto di rivelare le domande ricevute e le risposte resa alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero; è tenuto ad informare la persona della facoltà di non rispondere o di non rendere dichiarazioni, in tal caso il difensore può chiedere al pubblico ministero di disporne l’audizione o richiedere un incidente probatorio; infine, deve rendere informata la persona con la quale interagisce delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni.
Nell’ipotesi in cui nel corso dell’assunzione delle informazioni emergano indizi di reità a carico di colui che le rende, il difensore sarà tenuto ad interrompere l’atto e, in base a quanto disposto dall'art. 63 c.p.p., quanto dichiarato non potrà essere utilizzato contro la persona che ha reso le informazioni. Tanto discende dalla norma dell’art. 391 bis comma 9 che sancisce: "Il difensore o il sostituto interrompono l’assunzione delle informazioni da parte della persona imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico”.
Un ulteriore incombente tecnico a carico del difensore cui quindi è richiesta una spiccata capacità professionale.
Il comma 4 dell’art. 391 bis c.p.p. prevede una limitazione statuendo che nel caso in cui la persona sia stata già sentita dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, alla stessa non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle risposte date.
La norma in analisi prosegue, al comma 8, sancendo il divieto di far assistere, durante l’assunzione di informazioni, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private, al fine di rendere scevro da qualche tipo di condizionamento colui che rende dichiarazioni o fornisce informazioni.
L’art. 391 ter c.p.p., a completamento della disciplina ex art. 391 bis c.p.p.,stabilisce le modalità di documentazione del colloquio documentato e della ricezione di dichiarazioni scritte. Nel caso di dichiarazioni libere contenute in un atto redatto e sottoscritto dal soggetto informato sui fatti, il difensore o il suo sostituto sono tenuti a redigere una relazione contenente i requisiti di forma stabiliti dal comma 1, alla quale viene allegata la dichiarazione.
Il difensore può svolgere ulteriori attività previste dagli artt. 391 quater e ss. c.p.p.: richiedere ed estrarre copia di documentazione in possesso della pubblica amministrazione; accedere ai luoghi e visionare cose, effettuando descrizioni, rilievi tecnici, grafici, fotografici o audiovisivi; accedere a luoghi privati o non aperti al pubblico, con l’autorizzazione di chi ne ha la disponibilità e, in difetto, con l’autorizzazione del giudice; compiere accertamenti tecnici non ripetibili, previo avviso al pubblico ministero, pena la inutilizzabilità in dibattimento; partecipare a determinati atti di indagine compiuti dal pubblico ministero.
3 Il fascicolo del difensore.
Tutti gli atti relativi all’attività di indagine difensiva confluiscono nel fascicolo del difensore ex art. 391 octies c.p.p.
Questo rappresenta certamente una novità introdotta nel 2000 che contribuisce a rendere il difensore un vero e proprio protagonista sul palcoscenico processuale. Il fascicolo è formato e conservato presso l’ufficio del giudice per le indagini preliminari e il pubblico ministero può prenderne visione ed estrarne copia. Al termine delle indagini preliminari tale fascicolo viene inserito nel fascicolo del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 433 c.p.p.
La norma stabilisce al comma 1 che qualora nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare il giudice debba adottare una decisione con l’intervento della parte privata, è consentito al difensore di presentare allo stesso giudice direttamente gli elementi di prova a favore del proprio assistito; è il comma 2 a fornire al difensore, nel caso in cui nel corso delle indagini preliminari lo stesso giunga a conoscenza di un procedimento penale, un’ulteriore facoltà, ossia quella di presentare gli elementi difensivi su indicati direttamente al giudice, affinché questo ne tenga conto anche qualora dovesse adottare una decisione per la quale non è previsto l’intervento della parte assistita. Per tale via, pertanto, si consente al difensore di sottoporre direttamente al giudice il fascicolo del difensore, senza prevedere alcun intervento del pubblico ministero.
Disposizione non priva di rilevanza è il comma 4 che stabilisce la facoltà per il difensore di presentare al pubblico ministero gli elementi di prova in favore del proprio assistito, al fine di sollecitare lo stesso a prendere una decisione.
Dall’analisi delle attività investigative il cui svolgimento è consentito al difensore emerge chiaramente una equiparazione di rilevanza tra gli elementi di prova raccolti dal difensore e quelli raccolti dal pubblico ministero, sia in merito alla loro utilizzabilità che al valore probatorio (Cass. pen. 17 ottobre 2007, n. 43349).
Svolta questa attività, ai sensi dell’art. 391 octies c.p.p. il giudice al quale sono stati presentati gli elementi di prova è tenuto non solo alla loro acquisizione, ma a valutarli ponendoli in relazione al complessivo compendio probatorio (Cass. pen. sez. II, 30 gennaio 2002, n. 13552).
Quanto all’utilizzabilità della documentazione delle investigazioni difensive, l’art. 391 decies c.p.p. rimandando all’art. 500 c.p.p., consente che le dichiarazioni raccolte dal difensore da persone informate sui fatti e inserite nel fascicolo del difensore siano utilizzabili in sede dibattimentale per le contestazioni.
Nell’ipotesi in cui non possa trovare applicazione l’art. 234 c.p.p. in merito alla prova documentale, la documentazione di atti non ripetibili compiuti in occasione di accesso ai luoghi, presentata nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, è inserita nel fascicolo del dibattimento.
Il difensore è tenuto, nel caso di accertamenti tecnici non ripetibili, a darne avviso al pubblico ministero e il verbale e la documentazione degli accertamenti compiuti sono inseriti nel fascicolo del difensore e del pubblico ministero, qualora quest’ultimo abbia esercitato la facoltà di assistervi. In questo caso, dunque, si applica l’art. 431, comma 1, lett. c) c.p.p., che prevede l’inserimento di tali atti nel fascicolo per il dibattimento.
4. Investigazioni difensive e persona detenuta.
Nodale è la disciplina relativa alla possibilità, prevista dal comma 7 dell’art. 391 bis c.p.p., per il difensore di conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni dal detenuto. In questa ipotesi il legislatore, rendendo certamente meno effettiva quella parità di armi tra difensore e pubblico ministero, ha stabilito l’obbligo per il difensore di munirsi di una specifica autorizzazione, previo parere del difensore del detenuto e del pubblico ministero. Quanto all’autorizzazione, adottata mediante ordinanza, la competenza è del giudice procedente o, a seconda che si tratti di una fase antecedente all’esercizio dell’azione penale o della fase esecutiva, rispettivamente del giudice per le indagini preliminari o del magistrato di sorveglianza.
In questo caso, ad ampliare il divario difesa-accusa vi sono i preliminari pareri e l’autorizzazione, che sottopongono il difensore al dovere, ai fini dell’ammissibilità della richiesta, di specificare le circostanze sulle quali sentirà il detenuto e le ragioni investigative che rendono necessaria l’assunzione di dichiarazioni o la ricezione di informazioni. Sul tema è intervenuta la giurisprudenza di legittimità la quale ha sottolineato che la richiesta del difensore non deve comportare un sindacato di merito dell’atto e che pertanto non è necessario indicare le ragioni che rendono utile l’atto richiesto. Piuttosto, come specificato dalla stessa corte, la valutazione concerne il titolo che legittima lo svolgimento dell’attività di indagine e, dunque, è necessario che «siano indicati l’imputazione o l’addebito per il quale si procede nei confronti della persona assistita dal difensore che intende esaminare la persona detenuta, e che sia descritto il legame con quel tema di indagine della persona da sentire, in modo che si possa apprezzare l’esistenza di un interesse meritevole di tutela» (Cass. Pen., sez. I, 07 giugno 2019, n. 28216).
Nell’ipotesi di diniego dell’autorizzazione, tale diniego è inoppugnabile, in quanto non è previsto ex lege alcun tipo di impugnazione, a meno che non si tratti di provvedimento abnorme, nel qual caso la non impugnabilità risulta superabile.
La sentenza citata, su ricorso del Procuratore Generale, ha annullato senza rinvio il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza aveva concesso l’autorizzazione per l’assunzione di informazioni da un collaboratore di giustizia non detenuto in quanto ammesso a liberazione condizionale con sottoposizione a libertà vigilata, che già aveva reso collaborazione sui fatti in relazione ai quali avrebbe dovuto essere sentito.
Tale sentenza consentendo l’impugnazione dell’atto solo perché "abnorme” afferma che la norma dell’art. 391 comma 7 ha la finalità di rafforzare la tutela dell’esaminando in ragione del suo stato di restrizione carceraria, e sul punto scrive: "La persona con cui i difensori intendono conferire ha sempre la facoltà di non rispondere e quindi di sottrarsi all’esame; se però si trova ristretta in carcere, e quindi in una situazione di strutturale debolezza, occorre che un giudice possa vagliare l’astratta fondatezza investigativa del difensore che, in ogni caso, costituisce o può costituire una interferenza nella sua libertà di autodeterminazione”.
Alla luce di tale principio la Corte ha ribadito che è necessaria l’autorizzazione per conferire, in sede di investigazione difensiva, solo con la persona ristretta in carcere e non anche con chi sta espiando una misura "non detentiva” come la liberazione condizionale con sottoposizione a libertà vigilata: in tal caso non vi è necessità di alcun intervento autorizzatorio da parte del Giudice.
5. Conclusioni
La riforma ha il merito di aver concesso al difensore quel potere esplorativo sancito nella Costituzione e mai reso attuativo ma, soprattutto, questo è un potere necessario, in quanto solo lo svolgimento di una attività di indagine può permettere alla difesa di prendere scelte processuali valide e potenzialmente fruttuose.
Nonostante l’ottimismo con il quale si voglia guardare l’intera disciplina delle indagini difensive, è lapalissiano come sia ancora esistente, seppure in maniera meno marcata rispetto al passato, un netto divario tra i poteri di indagine concessi all’accusa e quelli concessi alla difesa.
Tanto in quanto perché sono necessari pareri che il difensore deve preliminarmente chiedere al pubblico ministero per il compimento di alcune attività, come nel caso sopra indicato, in cui voglia conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni dal detenuto.
Anche la previsione di ricorre al Pubblico Ministero, che è il contraddittore principale del difensore, nel caso in cui la persona da ascoltare non si presenti presso il difensore, appare un limite evidente al potere esplorativo del difensore perché consente la immediata intrusione dell’altra parte del processo in una attività di investigazione prettamente "difensiva”.
Tanto sembra alterare il principio di parità delle parti processuali.
Dott.ssa Rosmina Nanna
Praticante Avvocato
Articolo scritto da: dott.ssa Rosmina Nanna il 03/10/2020