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Pronuncia della Corte Costituzionale sul diritto dei detenuti alla affettività ed alla sessualità . Commento .

Pronuncia della Corte Costituzionale sul diritto dei detenuti alla affettività ed alla sessualità . Commento .

La Corte costituzionale sul diritto dei detenuti all’affettività ed alla sessualità
Corte cost., 19 dicembre 2012, n. 301, Pres. Quaranta, Rel. Frigo

Il Magistrato di sorveglianza di Firenze ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 18, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà personale), nella parte in cui prevede il controllo visivo del personale di custodia sui colloqui dei detenuti e degli internati, in tal modo impedendo loro di avere rapporti affettivi intimi, anche sessuali, con il coniuge o con la persona ad essi legata da uno stabile rapporto di convivenza.
Secondo il Magistrato, tale norma, così formulata violerebbe gli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 27, 29, 31 e 32 della Costituzione.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 301 del 2012, ha dichiarato l'inammissibilità di detta questione di legittimità costituzionale.
Tale decisione è scaturita dalla considerazione che un intervento puramente e semplicemente ablativo della previsione del controllo visivo sui colloqui si rivelerebbe eccessivo e allo stesso tempo insufficiente per lo scopo perseguito. Secondo la Corte, infatti  <<il controllo a vista del personale di custodia non mira ad impedire in modo specifico ed esclusivo i rapporti affettivi intimi tra il recluso e il suo partner, ma persegue finalità generali di tutela dell’ordine e della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e di prevenzione dei reati. L’ostacolo all’esplicazione del “diritto alla sessualità”  ne costituisce solo una delle conseguenze indirette, stante la naturale esigenza di intimità connessa ai rapporti in questione. L’asserita necessità costituzionale di rimuovere tale conseguenza non giustificherebbe, dunque, la caduta di ogni forma di sorveglianza sulla generalità dei colloqui.>>.
Secondo la Corte, dunque, eliminare il controllo visivo non sarebbe sufficiente per realizzare l’obiettivo perseguito dal Magistrato di Sorveglianza con il ricorso depositato, dovendo necessariamente essere predisposta una disciplina che descriva i termini e le modalità di esplicazione del diritto in esame. In particolare secondo la Corte occorrerebbe individuare << i destinatari,  interni ed esterni, definire i presupposti comportamentali per la concessione delle visite intime, fissare il loro numero e la loro durata, determinare le misure organizzative.>> 
Tali operazioni, prosegue la Corte, derivano da scelte discrezionali che solo il legislatore può compiere e ciò <<anche a fronte della ineludibile necessità di bilanciare il diritto evocato con esigenze contrapposte>>, quali quelle dell'ordine e della sicurezza nelle carceri.

La decisione della Corte Costituzionale appare, allo stato dell’arte,  corretta e interpretativa della legislazione esistente.
D’altronde eliminare il controllo visivo durante i colloqui è chiaramente insufficiente a ristabilire il c.d. “diritto alla sessualità” della persona detenuta.
Tale diritto ha necessità , a parere di chi scrive, di esplicarsi, nella massima libertà e quindi con tutti glia accorgimenti necessari per garantire un attento rispetto della privacy   anche all’interno della mura carcerarie.
Il Magistrato di Sorveglianza  di Firenze ha il merito di aver sollevato il problema e la Corte, pur dichiarando la inammissibilità della questione, ha dato un imput per riproporre la questione in termini , legislativi e giurisprudenziali più appropriati.

Naturalmente il legislatore, se volesse e fosse conscio  del problema, potrebbe prevedere, come si fa in altri Paesi Europei la possibilità per il detenuto di prevedere  “colloqui intimi” con il partner in apposite stanze e senza  “occhi indiscreti” prevedendo  forme e modalità di controllo per  assicurare la sicurezza.

Gli operatori giuridici, avvocati e magistrati, potrebbero risollevare la questione di costituzionalità sotto altre forme, sottolineando che  la tutela della persona umana (art .2 della Costituzione) prevede anche il rispetto del suo diritto ad esplicare la “sua”  sessualità in maniera conforme al desiderio  nei confronti del partner ed anche in situazioni di privazione della libertà personale.
Si potrebbe incidere specificatamente sulle norme che prevedono il “trattamento penitenziario” e far dichiarare la incostituzionalità di quelle che non prevedono, nell’ambito  del trattamento, il corretto esplicarsi della propria  sessualità, presupponendo che la privazione sessuale nei confronti del partner impedisca un completo ravvedimento della persona detenuta.
D’altronde l’art. 1 ultimo  comma  stabilisce che “ nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento  sociale degli stessi”.
Contatti con l’ambiente esterno sono  anche quelli che prevedono la esplicazione, concepita come dirittto,  della affettività e della sessualità nei confronti del partner .
La questione non è di facile  soluzione, ma è aperta.

Dott.ssa Anita Digirolamo 

Articolo scritto da: Dott.ssa Anita Digirrolamo il 24/03/2013
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