Assenza della sola capacità di volere e imputabilità
La sola assenza della capacità di "volere” può escludere la imputabilità.
1.La capacità di intendere e di volere.
L’art. 85 del codice penale stabilisce la condizione di imputabilità di una persona :" Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”
"E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.
"L’imputabilità indica la capacità di agire nel diritto penale, l’idoneità a rispondere penalmente di un fatto " (Bruno Cassinelli , Storia della pazzia pag. 497) .
Si ha imputabilità quando il soggetto è capace di compiere una scelta, quando la sua volontà è libera e capace di discernere il male dal bene e di operare secondo di conseguenza.
Se la volontà è coartata da un vizio, l’agire del soggetto non è libero ma è sottomesso .
Capacità di intendere e di volere deve intendersi in senso scientifico come capacità di intendere e di volere normalmente.
Il Mantovani nel suo manuale di diritto penale fornisce le seguenti definizioni di capacità di intendere e capacità di volere.
Per capacità di intendere viene in rilievo "l’attitudine del soggetto non solo a conoscere la realtà esterna, cioè che si svolge al di fuori di lui, ma a rendersi conto del valore sociale, positivo o negativo, di tali accadimenti e degli atti che egli compie”.
Per capacità di volere viene in rilievo la " attitudine del soggetto ad autodeterminarsi in modo autonomo tra i motivi coscienti in vista di uno scopo, volendo ciò che l’intelletto ha giudicato di doversi fare, quindi, adeguando il proprio comportamento alle scelte fatte”.
L’Antolisei, a sua volta, nel manuale di diritto penale ( pagg. 519-520) asserisce che :
"La capacità di intendere è "capacità di rendersi conto del valore sociale dell’atto che si compie e quindi capacità di comprendere che la sua azione contrasta con le esigenze della vita in comune”
" Capacità di volere significa "attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, resistendo agli impulsi: più precisamente, facoltà di volere quello che si giudica doversi fare.”
L’accertamento della capacità così descritta, ha il compito di determinare lo status di un soggetto e verificare se lo stesso possa essere considerato penalmente capace.
Di conseguenza, la imputabilità non è un elemento del reato ma un presupposto del reato, sicchè il suo accertamento è preliminare ad ogni rapporto di diritto penale tra l’agente ed il fatto giudicabile.
Attribuire un reato ad un soggetto capace è poi il presupposto per l’applicazione a costui di una "pena”.
Infatti richiamando la previsione costituzionale secondo la quale la pena deve consistere in trattamenti volti alla rieducazione del condannato (art. 27 Costituzione) è evidente che il giudizio di colpevolezza non può essere disgiunto da un giudizio di "rimproverabilità” del fatto.
Dunque la imputabilità significa anche assoggettabilità a pena dell’agente.
2.Esclusione della imputabilità per sola insussistenza della capacità di volere.
L’art. 88 del c.p. recita : " Non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere”.
Detta norma è in stretta relazione con l’art. 85 c.p. e costituisce la principale deroga alla capacità di diritto penale.
Sicchè la regola è la capacità, la eccezione è la incapacità determinata da infermità.
Se il soggetto è totalmente incapace di intendere e di volere lo stesso non sarà imputabile.
Il vizio di mente può essere oltre che totale, parziale.
La questione in esame riguarda il caso del soggetto sottoposto a procedimento penale che, al momento del fatto, fosse capace di intendere ma incapace di volere : in tal caso può escludersi la imputabilità e quindi l’agente deve ritenersi affetto da vizio di mente?
Sul punto appare univoca a giurisprudenza della Suprema Corte, nel senso che l’assenza della capacità di volere può assumere rilevanza autonoma e decisiva e quindi determinare la non imputabilità.
2.1.La Giurisprudenza della Cassazione sulla non imputabilità per sola incapacità di volere.
Due sentenze della Suprema Corte enunciano questo principio ed al contempo delimitano il campo di nel quale il solo disturbo della volontà può operare, ossia ribadiscono che, comunque occorre un preciso nesso eziologico tra il disturbo e l’azione commessa.
Sentenza Cassazione sez. V 9 febbraio 2006 n. 8282 .
In questo caso, l’imputato aveva commesso un furto di un autovettura e la difesa aveva dedotto la sua incapacità di volere in quanto aveva un particolare disturbo della personalità che lo induceva a compiere furti nei cimiteri.
I giudici di merito avevano ritenuto il soggetto imputabile rigettando la eccezione difensiva ed escludendo la rilevanza "sul fatto” della pur ipotizzabile incapacità di volere.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, poi, ha ritenuto la motivazione della Corte di Appello "non contraddittoria”, osservando che la esistenza di un impulso non può essere considerata come causa da sola sufficiente a determinare un’azione incoerente con il sistema di valori di chi la compie, essendo compito dell’interessato dimostrare il carattere cogente, nel singolo caso, dell’impulso stesso.
Sicchè la Corte, in questa sentenza, riconosce l’autonomia del vizio di mente per sola incapacità di volere, ma ancora l’applicabilità "in concreto” a precise circostanze che possano stabilire un collegamento tra la tipologia dell’ impulso e il fatto realizzato.
Sentenza Cassazione sez. VI 25 maggio 2012 n. 18458.
Conforme alla precedente anche questa sentenza, più recente, di diversa sezione della Cassazione.
La massima è la seguente : " In tema di imputabilità, l’assenza della capacità di volere può assumere rilevanza autonoma e decisiva, valorizzabile agli effetti del giudizio ex artt. 85 e 88 c.p. anche in presenza di accertata capacità di intendere (e di comprendere il disvalore sociale dell’azione delittuosa) ove sussistano due essenziali e concorrenti condizioni : a) gli impulsi all’azione che l’agente percepisce e riconosce come riprovevole ( in quanto dotto di capacità di intendere) siano di tale ampiezza e consistenza da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze; b) ricorra un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da quello specifico disturbo mentale, che deve appunto essere ritenuto idoneo ad alterare non l’intendere, ma il solo volere della condotta illecita”.
In questo caso la Corte di Cassazione è stata ben più esplicita ribadendo chiaramente due concetti :
1) La sola incapacità di volere può incidere autonomamente sul giudizio di imputabilità della persona che abbia conservato la capacità di intendere;
2) L’esistenza di un impulso, idoneo astrattamente ad elidere la capacità di volere, non è causa sufficiente a determinare una azione "incoerente”: occorre anche dimostrare il legame esistente tra il detto impulso e il caso concreto.
3. Considerazioni "processuali” ( della difesa del’imputato- imputabile) .
L’orientamento nomofilattico sul tema è indiscusso.
Si, la incapacità del solo volere è autonoma e determina il vizio di mente.
Ma, "è onere dell’interessato dimostrare il carattere cogente nel singolo caso dell’impulso stesso”.
Questo è il tema da provare per la difesa dell’imputato, "forse imputabile” : che l’impulso non controllato sia stato determinante nella causazione dell’evento.
Deve ricorrere cioè uno stretto legame tra il disturbo della volontà ed il gesto commesso.
La difesa può arrivare ad argomentare che la volontà era annientata pur in presenza di una capacità di intendere, tuttavia ha l’onere di dimostrare che il fatto è avvenuto proprio perché quell’impulso non era controllabile in riferimento alla precisa condotta dell’agente.
Non è sufficiente allora una perizia o una consulenza che affermi e conclami la "incapacità di volere” , ma è necessaria la prova che quella autonoma in-capacità abbia generato un impulso capito ma non controllabile ed in grado di determinare quel particolare evento illecito di cui è incolpato l’imputabile.
Il difensore deve quindi fare appello alla scienza psichiatrica per dimostrare la esistenza del disturbo e ricorrere alla scienza della logica per collegare il disturbo al fatto realizzato dall’agente.
Avv. Filippo Castellaneta
Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 08/05/2016