Articoli > Diritto penale minorile a cura dell'avv. Giuseppina Bruno

La difesa dei minori stranieri in carcere

La difesa dei minori stranieri in carcere

La difesa dei minori stranieri in carcere

1. Le migrazioni.

L’esperienza migratoria è il comune denominatore delle tante storie di vita dei giovani stranieri che, per esigenze di carattere economico, per ricongiungimento familiare ovvero per ricercare nuove e migliori condizioni di vita, si ritrovano a dover lasciare i propri legami sociali e culturali.
Non vi è dubbio che questo particolarissimo processo esponga il minore a una vulnerabilità e, soprattutto, a fattori di rischio legati alla difficoltà di realizzare le sue aspettative, di ricongiungersi con la famiglia di origine, di accedere al mercato del lavoro e di integrarsi nel nuovo contesto socio- culturale.
Detta vulnerabilità nonchè le condizioni di emarginazione sociale favoriscono, non solo l’occasione perfetta per le organizzazioni criminali per il reclutamento dei minori stranieri, approfittando delle difficoltà di questi giovani privi di punti di riferimento e sprovvisti di risorse economiche, ma anche quelle condizioni che possono costituire una delle principali cause della loro devianza sociale.
Ponendo l’attenzione sui dati dei flussi di utenza dei Servizi Sociali Minorili, pubblicati dal Ministero della Giustizia con riferimento all’anno 2020 e fino al 15 settembre, si rileva che su un totale di 16.751 minorenni e giovani adulti presi in carico, 3.896 sono stranieri e di questi solo 898 sono stati presi in carico per la prima volta dal servizio minorile.
Orientando, poi, l’attenzione sui paesi di provenienza dei minorenni e giovani adulti stranieri, presi in carico dal Servizio Minorile, si rileva che di 881 giovani provenienti dai paesi dell’Unione Europea, ben 661 sono provenienti dalla Romania e 81 dalla Croazia; degli altri paesi europei, circa il 43%, su un totale di 878 stranieri, è proveniente dall’Albania; riguardo agli altri continenti si registra una prevalenza di stranieri proveniente dall’Africa (1.706) e precisamente: 58 dalla Costa d'Avorio; 163  dall’Egitto, 159  dal Gambia; 681 dal Marocco, 94 dalla Nigeria; 132 dal Senegal e 220 dalla Tunisia.

2. I minori stranieri e il loro rapporto con la Giustizia penale minorile.

Riguardo al collocamento in comunità, i dati pubblicati permettono di riscontrare come questa misura abbia trovato maggiore applicazione tra gli italiani (66%) rispetto agli stranieri (34%); invero, la scomposizione del dato, in base al motivo del collocamento, consente di rilevare come solo 19 stranieri (su un totale di 347) siano stati collocati in comunità per l’esecuzione di una misura alternativa e che in prevalenza detto collocamento sia stato maggiormente applicato per l’esecuzione di una misura cautelare (45%).
Sicchè è evidente che per i minori stranieri si aprono più frequentemente le porte degli istituti di pena.
Infatti, analizzando i dati forniti è possibile rilevare come quella degli stranieri costituisca circa il 43% (su un totale di 311) delle presenze negli istituti penitenziari e di questa più della metà è in regime di custodia cautelare.
I dati forniti confermano che gli ingressi negli istituti penali sono in prevalenza giustificati dall’esecuzione di una misura cautelare, ma confermano la tendenza ad applicare, in regime di esecuzione penale, la detenzione carceraria rispetto ad altre misure alternative.


3 Le norme a tutela dei minori in carcere. L’importa della figura del”mediatore culturale”.

Il minore che viene ristretto negli istituti di pena per minorenni di solito vive una particolare condizione umana, ambientale e se vogliamo "epocale”.
Egli, infatti, spesso non può contare su contatti stabili nel tessuto sociale per carenza di legami familiari e di saldi riferimenti all’esterno dell’istituto penitenziario.
Al riguardo inevitabile è il riferimento ai minori stranieri non accompagnati, che rappresentano una categoria di soggetti tendenzialmente incline a porre in essere condotte recidivanti data la loro difficoltà ad integrarsi nel tessuto sociale e di fruire delle tutele riconosciute dalla legislazione minorile.
Di qui la necessità del legislatore di garantire un ampliamento delle tutele durante la vita inframuraria e, soprattutto, di favorire percorsi di integrazione sociale dei detenuti stranieri.
Questi interventi nascono, innanzitutto, dal recepimento di leggi e convenzioni internazionali, prima fra tutte la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza  del 1989 che impone un onere per gli stati membri di vigilare  affinché "nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; nessun fanciullo sia privato di libertà illegalmente o in maniera arbitraria; ogni fanciullo privato di libertà siano trattato con umanità e nel rispetto della dignità umana e abbia diritto ad avere rapidamente accesso ad assistenza giuridica adeguata”  (art 37).
In quest’ottica, l’art 11 comma 1 lett. "i” d.lgs. n. 123/2018, in ossequio al criterio di cui all’art 1 comma 85 lett. "o” legge n. 103/2017 (previsione di norme che favoriscano l'integrazione delle persone detenute straniere), ha modificato l’art 27 co 2 O.P. al fine riconoscere un ruolo più decisivo, nell’ambito dell’attività trattamentale, alla figura del mediatore culturale.
La nuova previsione dell’art 27 O.P., infatti, nel prevedere un onere per gli istituti di favorire e organizzare attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, dispone che la commissione preposta all’organizzazione di dette attività sia anche presieduta dai mediatori culturali previsti dall’art 80 comma 4 O.P.
Quest’ultimo articolo, modificato dall’art 11 comma 1 lett. "s”d.lgs. n. 123/2018- che inserisce nel testo della norma la figura dei mediatori culturali e degli interpreti-, dispone al quarto comma: "per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, nonché di mediatori culturali e interpreti, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate”.
La norma, dunque, nel prevedere l’inserimento della figura del mediatore culturale e dell’interprete all’interno dell’équipe preposta all’attività di osservazione e trattamento del detenuto, rende più effettiva la presenza di figure che si pongono in relazione tra lo straniero e la realtà carceraria.
Infatti, non può essere trascurata la difficoltà per il minorenne straniero di comprendere le dinamiche carcerarie, anche a causa delle differenze culturali e delle barriere linguistiche che, di fatto, pongono il giovane in una condizione di marginalità e, quindi, nella difficoltà di sfruttare a pieno gli interventi trattamentali offerti dalla struttura.
In altri termini, la figura del mediatore culturale negli istituti penali si pone, dunque, come sostegno per altri operatori nella realizzazione del progetto rieducativo e di risocializzazione dei giovani detenuti; per tale motivo è importante che il mediatore non si limiti ad una funzione di interprete ma esegua uno studio ed un’analisi della cultura di origine, non solo per favorire una decodificazione culturale, ma anche per comprendere i problemi di natura socio-psicologica alla base del disagio emotivo patito dal  minore.
Nell’ambito di un’attività trattamentale che sia il più possibile confacente alle reali esigenze di crescita e di educazione del minorenne straniero, assume rilievo anche il riconoscimento della libertà di culto, garantita dall’art 26 O.P., il quale, al quarto comma,riconosce agli appartenenti a religione diversa dalla cattolica "il diritto di ricevere, su loro richiesta, l'assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti”.
Si aggiunga, inoltre, che il già citato disposto dell’art 11 comma 1 d.lgs. n. 123/2018, alla lettera "b”, ha sostituito l’art 9 comma 1 O.P. in tema di alimentazione, riconoscendo per la prima volta la possibilità per i detenuti, che ne facciano richiesta, di variare l’alimentazione nel rispetto dei dettami previsti dalla loro fede religiosa.

4. Integrazione dei minori stranieri. Importanza della difesa tecnica qualificata. 

Grande importanza riveste anche il disposto dall’art 19 O.P. che, nell’esigenza di vedere garantito il diritto all’istruzione e alla formazione culturale e professionale, riconosce, al quarto comma, speciale attenzione all'integrazione dei detenuti stranieri anche attraverso l'insegnamento della lingua italiana e la conoscenza dei principi costituzionali.
Tale norma rende effettiva la integrazione necessaria per far comprendere al minore come la integrazione passi attraverso il riconoscimento della "Legge” come bussola capace di orientare tutti i membri della Comunità al rispetto reciproco attraverso la osservanza di norme cogenti per tutti.
L’efficacia di queste disposizioni potrà essere garantita solo se non si perdono di vista quelle priorità rappresentate dalla necessità di garantire, innanzitutto, il diritto alla difesa tecnica e qualificata nel processo penale minorile, che abbia modo di assicurare una difesa "qualificata” e orientata sia alla corretta applicazione delle norme penali sia alla tutela ed alla conservazione e alla incentivazione delle risorse familiari e relazionali ovvero di garantire, in mancanza della famiglia di origine, un tutore valido per tutti i minorenni stranieri privi di riferimenti familiari e, infine, garantire una solida "rete” tra servizi sociali minorili, servizi territoriali e organi di giustizia minorile affinché il processo rieducativo avviato nella struttura carceraria non venga interrotto ma anzi favorito.

Avv. Giuseppina Bruno 


Articolo scritto da: avv. Giuseppina Bruno il 22/11/2020
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