La ritrattazione non è prova nuova per la revisione del processo
La Suprema Corte di Cassazione esclude alla ritrattazione della persona offesa la natura di "nuova prova” ai fini della revisione
"L’ORDINAMENTO NON PUÒ CONSENTIRE, PER EVIDENTI RAGIONI DI COERENZA, CHE L’EFFICACIA DEL GIUDICATO VENGA, COME SI CHIEDE NELLA SPECIE, RIMESSA IN GIOCO DA SOSPETTE DICHIARAZIONI”.
1.Premessa: panoramica sull’istituto della revisione penale.
La revisione penale è un mezzo di impugnazione, straordinario, estensivo, non devolutivo e non sospensivo.
Per ciò che concerne il suo fondamento giuridico si assiste ad una scissione di orientamento tra la dottrina tradizionale che lo individua nella sua attitudine a rimediare ad un errore giudiziario attraverso un nuovo giudizio, sacrificando quindi il giudicato (AUGENTI, Lineamenti del processo di revisione, Cedam, 1949, p. 1 ss) e la dottrina moderna che considera quale fine ultimo del gravame quello di garantire la certezza giuridica, messa in crisi da un’antinomia tra il giudicato e quell’elemento di novità, presupposto per accedere alla revisione (CALLARI, La revisione: la giustizia penale tra forma e sostanza, 2° ed., Giappichelli, 2012, p. 43 ss).
In continuità con i codici di rito previgenti, il legislatore del 1988 ha individuato all’art. 630 c.p.p. i casi in cui è ammessa la domanda di revisione:
a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;
b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’art. 3 c.p.p. ovvero una delle questioni previste dall’art. 479 c.p.p.;
c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove, che sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631 c.p.p.;
d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altrofatto previsto dalla legge come reato.
La Corte costituzionale con la sentenza del 7 aprile 2001, n. 113 è intervenuta dichiarando l’art. 630 c.p.p. incostituzionale nella parte in cui non prevedeva «un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1 CEDU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea» e, pertanto, ha introdotto un nuovo caso di revisione, la c.d. revisione europea.
Competente a pronunciarsi sulla richiesta di revisione è la corte di appello.
2. Come si svolge il processo di revisione.
Il giudizio di revisione proponibile in ogni tempo, prende avvio a norma dell’art. 632 c.p.p. su iniziativa del condannato ovvero del prossimo congiunto o dell’erede (in caso di morte del condannato) ovvero da parte del procuratore generale presso la corte d’appello (nella cui circoscrizione fu pronunciata la condanna) mediante il deposito della domanda, contente l’indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano, presso la corte d’appello competente.
Il giudizio è costituito da due fasi: una di delibazione dell’ammissibilità dell’istanza e una di merito.
La fase preliminare è deputata all’accertamento circa la sussistenza delle condizioni per la corretta instaurazione del giudizio di revisione, difatti la corte d’appello, in camera di consiglio, svolge una valutazione sommaria delle prove, con limitati poteri, al fine di verificare se gli elementi addotti siano astrattamente idonei a ribaltare il giudizio precedente e condurre ad una pronuncia di proscioglimento. Salvo che la corte d’appello dichiari con ordinanza l’infondatezza dell’istanza (ricorribile per cassazione), a norma dell’art. 636 c.p.p. prenderà avvio la fase di merito che terminerà con l’accoglimento o il rigetto della richiesta di revisione.
3. Gli effetti a seguito dell’accoglimento dell’istanza di revisione.
L’accoglimento della richiesta di revisione comporterà gli effetti che di seguito si riportano schematicamente:
revoca della sentenza di condanna o del decreto penale di condanna o della sentenza di patteggiamento;
emissione di una pronuncia il proscioglimento, con annessa enunciazione della causa nel dispositivo;
la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di mantenimento in carcere, per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione;
la restituzione delle cose confiscate, ad eccezione di quelle previste dall’art. 240, comma 2, n. 2, c.p.;
l’eliminazione dell’iscrizione nel casellario giudiziale della pronuncia revocata e la rimozione degli effetti pregiudizievoli, civili e amministrativi, che derivano dalla decisione revocata;
il diritto dell’interessato di richiedere che l’estratto della sentenza di proscioglimento venga affisso nel Comune in cui la sentenza era stata pronunciata e nel Comune dell’ultima residenza del condannato; la richiesta può riguardare anche la pubblicazione dell’estratto in un giornale, indicato dall’interessato;
il diritto alla riparazione dell’errore giudiziario disciplinato dagli artt. 643 ss. c.p.p.
4. Una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione in tema di "novità” della prova.
Analizzando i casi di revisione, è evidente come questi siano accomunati dal requisito della "novità”, da intendersi quale sopravvenienza o scoperta di elementi in un momento successivo al passaggio in giudicato della pronuncia e dotati di una portata tale da condurre, se accertati, a sovvertire il giudicato penale e all’emissione di una pronuncia di proscioglimento.
Di recente la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 29952/2020 è intervenuta in tema di revisione,e in particolare di "prove nuove”, a seguito del ricorso, proposto dai difensori dell’imputato, avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro che dichiarava l’inammissibilità dell’istanza di revisione della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria per il reato ai sensi dell’art. 609 bis, comma 1 e 2, c.p. commesso in danno di una minore infraquattordicenne all’epoca dei fatti e affetta da patologie psichiatriche tali da determinare una diminuzione delle sue capacità cognitive ed intellettive.
L’istanza di revisione proposta dinanzi ai giudici catanzaresi si fondava sull’allegazione, quale prova nuova e dunque rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., di un verbale di sommarie informazioni rese dalla persona offesa, accompagnata dal suo difensore, dinanzi ai Carabinieri nel quale la stessa ritrattava le accuse circa la violenza sessuale subita e dichiarava che quando aveva accettato il passaggio era consapevole che la cosa sarebbe potuta sfociare in un rapporto sessuale. La Corte di Appello di Catanzaro, ritenendo che la ritrattazione non fosse corredata di elementi tali da renderla attendibile, dichiarava la richiesta di revisione inammissibile.
Con il ricorso per Cassazione i difensori dell’imputato, pertanto, rimettevano la questione alla Suprema Corte. Trascurando la trattazione riguardo il secondo motivo di ricorso, è necessario focalizzare l’attenzione sul primo motivo con cui i difensori lamentano la violazione degli artt. 630, comma 1, lett. c), 634, comma 1, c.p.p., per aver i giudici di seconde cure di Catanzaro negato la qualità di nuova prova alla ritrattazione fatta dalla persona offesa.
Il ricorrente, pur evidenziando l’assenza di elementi esterni atti a confermare l’attendibilità della ritrattazione e riconoscendo che la stessa era intervenuta quando il reato di calunnia (eventualmente commesso dalla dichiarante nei confronti dell’accusato) era ormai prescritto, nel suo ricorso faceva riferimento ad una serie di elementi che avrebbero dovuto far propendere i giudici a qualificare come nuova prova quella ritrattazione: è la ritrattazione di un’accusa posta all’origine della condanna; diversità dell’oggetto dichiarativo pur riguardo lo stesso soggetto attivo e passivo.
Peraltro, il ricorrente imputa l’assenza di elementi esterni alla passività con cui l’Ufficiale di polizia giudiziaria e il difensore della persona offesa accolsero quella dichiarazione, i quali non si interessarono a chiedere le ragioni delle sue precedenti accuse e sul perché della ritrattazione.
Peraltro, nel ricorso, i difensori denunciano il mancato esercizio da parte della Corte di Appello di Catanzaro di tutti quei poteri di acquisizione probatoria d’ufficio previsti dal codice di rito, la quale avrebbe potuto evidenziare alle parti la carenza istruttoria ovvero disporre l’esame o la perizia psichiatrica della persona offesa.
La Corte di Cassazione ha dichiarato infondati i motivi e quindi rigettato il ricorso, affermando in punto di diritto, insieme ad altri, i due principi che di seguito si riportano:
la Corte di Appello ha correttamente negato la qualità di nuove prove a quelle dedotte in ricorso, in quanto carenti di specifici elementi di conforto alla ritrattazione;
non integra "nuova prova”, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. la pura e semplice ritrattazione o la modifica delle dichiarazioni rese in precedenza da un testimone, perché «l’ordinamento non può consentire, per evidenti ragioni di coerenza, che l’efficacia del giudicato venga, come si chiede nella specie, rimessa in gioco da sospette dichiarazioni».
5. Conclusioni.
La pronuncia affronta un tema che a lungo ha suscitato contrasti dottrinali e giurisprudenziali. La querelle ha riguardato non solo cosa debba effettivamente rientrare nel concetto di "nuova prova”, ma oltremodo l’ingresso della scienza nel processo penale, difatti dopo un iniziale scetticismo di coloro che temevano che aprendo le porte al progresso scientifico ne sarebbe derivata una crisi della stabilità del giudicato, ci si è resi ben presto conto che dinanzi al continuo progresso scientifico e al suo prezioso apporto il processo penale non poteva più restare indifferente. Se da un lato nel giudizio di revisione viene inevitabilmente a condensarsi quel processo comparativo tra quanto dedotto e statuito nella pronuncia di cui si chiede la revisione e quel compendio probatorio addotto nella istanza di revisione, il giudice trova una serie di ostacoli in punto di valutazione: da un lato a norma dell’art 637, comma 3, c.p.p. «non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio» e dall’altro la giurisprudenza di legittimità ha ampliato il concetto di nuova prova, stabilendo che sono dotate del crisma della novità quelle che, seppur già oggetto di thema decidendum del giudizio di merito, risultino fondate su tecniche innovative e differenti, dotate di una portata tale da condurre a risultanze non raggiungibili con le metodiche disponibili al tempo della valutazione (cass. pen., sez. I, 6 ottobre 1998).
In definitiva, vengono considerate nuove le prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza definitiva di condanna, quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non siano state dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, indipendentemente che l’omessa produzione delle prove sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato.
Dott.ssa Rosmina Nanna ( praticante avvocato)
Articolo scritto da: dott.ssa Rosmina Nanna il 02/05/2021