L’ordine del discorso
1. Premessa.
Michel Foucault il 2 dicembre 1972 pronuncia la lezione inaugurale al College de France che gli ha assegnato la prima cattedra dell’insegnamento di Storia dei sistemi di pensiero.
Il College de France è una istituzione universitaria sorta nel 1530.
“Ma che c’è dunque di tanto pericoloso nel fatto che la gente parla e che i suoi discorsi proliferano indefinitamente? Dov’è dunque il pericolo?”
La frase posta in premessa dall’autore segna il punto di inizio della ricerca che si sviluppa attraverso le pagine successive e che si pone come obiettivo quello di descrivere quello che è l’ordine del parlare dell’epoca e quali devono essere – direi- , invece, i traguardi futuri.
Non è facile comprendere quanto Foucault scrive, il testo va letto e riletto per essere compreso, ma è un esercizio intellettuale stimolante. Ho ritenuto di farlo.Ne sono rimasto affascinato ed ho compreso quel che segue.
2. Le procedure di esclusione del discorso
Foucault descrive innanzitutto le procedure di esclusione esterna del discorso evidenziando che nella società dell’epoca la produzione del discorso è, appunto, controllata, selezionata, organizzata e distribuita attraverso procedure destinate a scongiurarne i poteri ed i pericoli ed a ridurne l’alea.
Egli individua tre procedure di esclusione :
a) L’interdetto. Chiunque non può parlare di qualsiasi cosa.
Vi è un reticolo dal quale è impossibile uscire, vuoi perché l’oggetto del discorso è solo appannaggio di taluni, vuoi per il rituale della circostanza, vuoi perché l’oggetto è “tabù”. Pertanto vi sono regioni del sapere ( la sessualità e la politica innanzi tutto) in cui il buio è più fitto e nelle quali la trasparenza pare non esistere.
b) Opposizione tra ragione e follia. Il discorso del folle non può circolare come quello degli altri.
Più che un principio di esclusione l’autore lo definisce una partizione (partage) : la parola di alcuni viene considerata “nulla”, come se fosse inesistente,è la parola del folle, di nessun valore, perché egli è inesistente per il diritto ( non può firmare un contratto), inesistente per la Chiesa ( nel rituale della messa non può ricevere la comunione ). Il folle fa rumore, non parla.
c) Opposizione del vero e del falso. La volontà di verità.
E’ la costrizione della verità che fa paura, è la verità che si fonda sulle Istituzioni, che è sorretta da supporti istituzionali , è la verità “imposta”, è il discorso “vero” perché pronunciato “da chi di diritto”.
E’ la “volontà di verità” sorretta da un supporto e da una distribuzione istituzionale che esercita sugli altri discorsi una pressione ed un potere di coercizione.
E’ una volontà di verità che va aggirata ( come hanno fatto Netzsche, Artaud, Bataille), perché essa è capace di mascherare il vero.
Il prodigioso macchinario destinato ad escludere, ossia la “volontà di verità” per secoli ha visto sospingere verso di sé gli altri due sistemi di esclusione: la parola interdetta e la partizione della follia. Ma mentre questi, col tempo, sono divenuti più fragili, la volontà di verità sembra sempre più “inaggirabile”.
3. Procedure interne di controllo del discorso
a) Il commento .
Il commento limita il discorso, lo controlla, lo fossilizza:
“ l’indefinito spumeggiare dei commenti è lavorato dall’interno dal sogno di una ripetizione mascherata. Al suo orizzonte, non vi è forse nient’altro che ciò che era al suo punto di partenza, la semplice recitazione. Il commento limita il discorso col gioco di una identità che ha la forma della ripetizione”..
b) L’autore.
Nel medioevo la attribuzione ad un autore costituiva indice di verità. Si riteneva che quanto dicesse un autore autorevole detenesse automaticamente valore scientifico, e dal XVII secolo questa funzione non ha cessato di venir meno, in campo scientifico ed in campo letterario. Foucault afferma che sarebbe assurdo negare o elidere l’individuo che scrive un’opera o inventa un teorema scientifico, ma ciò non toglie che il discorso, o l’opera, o l’invenzione va analizzato anche per quello che è e non soltanto per chi lo ha scritto.
Il principio dell’autore limita il caso del discorso col gioco della identità che ha la forma dell’individualità e dell’io.
c) La organizzazione delle discipline.
La disciplina è un insieme di metodi, un corpus di proposizioni considerate come vere. La disciplina ha una funzione restrittiva del discorso perché non accetta in sé quello che non è metodicamente accertato secondo la propria organizzazione interna, neanche se il postulato nuovo risultasse vero esso troverebbe la strada sbarrata dalla dogana della organizzazione precostituita che forma l’essenza di una tal disciplina. In questo senso l’organizzazione della disciplina limita dall’interno il discorso.
4. Procedure che condizionano la messa in opera dei discorsi.
a)Il rituale. Il rituale definisce la qualificazione che devono possedere gli individui che parlano e fissa l’efficacia supposta o imposta delle parole, nonché il valore costrittivo delle stesse. Se si parla in un rituale si devono rispettare i tempi, i modi, e le prerogative del discorso in quell’ mbito.
b) Le società di discorso. Un tempo erano i rapsodi che, soli, possedevano la conoscenza dei poemi da recitare e eventualmente da trasformare e tra parola ed ascolto i ruoli non erano mutabili. Oggi sono la “istituzionalizzazione del libro”, e cioè la differenza tra lo “scrittore” e qualsiasi altro essere scrivente o parlante, il segreto scientifico, l’appropriazione del discorso economico o politico, la dottrina che diffonde un unico insieme di discorsi, e distribuisce patenti di ortodossia e di eresia.
c) Appropriazione sociale dei discorsi.
L’educazione consente a qualsiasi individuo di accedere a qualsiasi tipo di discorso, ma è anche vero che poiché un sistema di educazione permette e vieta, è un sistema politico che consente di mantenere o modificare l’appropriazione dei discorsi.
5. Elisione della realtà del discorso nel pensiero filosofico
E’ possibile che alcuni temi della filosofia abbiano, nel tempo, rafforzato i giochi di limitazione e di esclusione del discorso.
Questi temi potrebbero essere :
a) il soggetto fondatore Colui che attraversando il senso delle cose vuote , fonda un orizzonte di significato che, in seguito, sarà soltanto da spiegare.
b) Esperienza originaria. Il discorso esiste già nelle cose ed esprime il suo senso, quindi è il linguaggio che deve parlare di qualcosa che già esiste.
c) La mediazione universale Lo scambio continuo dei discorsi non è che un gioco che alla fine , finisce con l’annullare il discorso stesso. Sembrerebbe che in tutto questo lavorio si mettesse al centro dell’attenzione il discorso stesso, invece si finisce con il valorizzare il discorso già tenuto che è diventato “evento”.
L’autore propone quindi, al fine di superare la logofobia latente e strisciante, di smuovere le acque e di indurre il pensiero resistente a :
a) rimettere in questione la volontà di verità.
b) Restituire al discorso il carattere di evento.
c) Eliminare la sovranità del significante.
6. IL METODO DA SEGUIRE
L’autore propone di applicare alcuni principi guida :
1) Principio di rovesciamento : l’autore, la disciplina, la volontà di verità che, secondo la tradizione, sono la scaturigine del discorso producono invece la rarefazione del discorso.
2) Principio di discontinuità : il fatto che ci siano sistemi di rarefazione non significa che vi è un discorso sotterraneo che non è venuto alla luce. I discorsi sono pratiche “discontinue”: si incrociano,si affiancano ma anche si ignorano o si escludono.
3) Principio di specificità : il discorso non è un gioco di significati precostituiti ma è una pratica che imponiamo alle cose.
4) Principio dell’esteriorità ; dal discorso bisogna partire non per andare verso il suo nucleo interno ma verso le sue condizioni esterne di possibilità.
A questo punto quattro nozioni governano l’analisi : 1) evento 2) serie 3) regolarità 4) condizione di possibilità. Esse così si contrappongono alle nozioni che hanno dominato la storia tradizionale delle idee:
evento > creazione
serie > unità
regolarità > originalità
condizione di possibilità > significato.
I discorsi, allora, devono essere considerati, non solo, come si è fin’ora fatto, per far apparire strutture di lunga durata ma devono essere trattati come “insieme di eventi discorsivi” accettando di introdurre l’alea come categoria nella produzione degli eventi.
Nel discorso incide il caso, il discontinuo, la materialità. Occorre tenerne conto.
7. ANALISI DA CONDURRE
In forza di tali principi Faucault si propone di condurre l’analisi secondo due “insiemi”.
Da una parte l’insieme “critico” : mettere in atto il principio del rovesciamento ed individuare le forme di esclusione, della limitazione e della appropriazione ed indagare sul perché sono sorte e si sono elaborate.
Dall’altre l’insieme “genealogico”: come si sono formati i discorsi attraverso a dispetto o coll’appoggio dei sistemi di costrizione.
E traccia i percorsi di tale analisi : la partizione tra follia e ragione nell’epoca classica, il linguaggio della sessualità dal XVI al XIX secolo, ma soprattutto il discorso vero ed il discorso falso, il rituale e l’irrituale partendo dalla sofistica, passando dall’Inghilterra del XVII secolo che vede nascere nuove strutture politiche e finendo alla società industriale ed alla sua ideologia positivistica.
8. Percorsi di ricerca
L’autore conclude tracciando dei percorsi da seguire nelle varie branche dello scibile umano:
Nella storia della medicina si potrebbe analizzare come sia stato esercitato il principio del grande autore: Ippocrate, Galeno ed altri e come a poco a poco gli sia stata sostituita l’analisi del caso, della raccolta dei casi, dell’apprendimento clinico su di un caso concreto.
Nella storia letteraria si potrebbe considerare in qual modo si è costituito il principio del personaggio e la figura dell’opera “utilizzando, modificando e spostando i procedimenti dell’esegesi religiosa, della critica biblica, dell’agiografia”.
Nella storia dell’economia come si sia formata una regolarità, diversa per ricchi e poveri, cattolici e protestanti, dotti e ignoranti, intorno alla “analisi delle ricchezze” e come poi si è formata una nuova regolarità.
Nella sessualità capire l’interdetto che la circonda e condurre questo studio analizzando gli insiemi dei discorsi, letterari, religiosi, etici, biologici, medici e giuridici che la riguardano.
Nel diritto penale dice “vorrei misurare l’effetto di un discorso a pretesa scientifica ---discorso medico, psichiatrico ed anche discorso psicologico – sull’insieme di pratiche e di discorsi precettivi costituito dal sistema penale. Lo studio delle perizie psichiatriche e del loro ruolo nella penalità servirà da punto di partenza e da materiale di base a quest’analisi”.
9. orizzonti possibili
E’ questo un manifesto teorico sconosciuto ai più ma capace di suscitare entusiasmi intellettuali e culturali enormi.
Cosa c’entra con il sito di uno studio legale di penalisti? a livello pratico nulla se si considerasse questo ambito riduttivamente come un mezzo per comunicare e per farsi conoscere.
Se invece si immagina di trasmettere con questa creazione dei concetti nuovi, che hanno la pretesa di rimettere in discussione, appunto, la volontà di verità, di restituire al discorso il carattere di evento, e di togliere via la sovranità del significante, ecco allora che quella elaborazione teorica del maestro francese può diventare il vademecum di questo ponte che, con il sito, intendiamo creare, con i colleghi e con quanti siano incuriositi dalla nostra opera, e con quanto volesseri avvalersi della nostra attività.
L’orizzonte è quello di forgiare un avvocato penalista preparato, capace di destreggiarsi tra i codici ma in grado di essere multi disciplinare quando lo occorra. Abile nell’usare il discorso appropriato, ma convinto di poter piegare al “suo discorso” i suggerimenti della psichiatria, della psicologia giudiziaria, della psicologia clinica, della criminologia, ma anche della balistica , della medicina, e della retorica e della logica e di qualsiasi altra scienza che può fornirgli il concetto essenziale, l’assioma vincente per poter costruire una argomentazione efficace.
Come non pensare ( e rimeditare ) all’ordine del discorso di Foucault quando si deve ribaltare la sovranità del significante, quando in una causa, ad esempio, ci si trova di fronte al preteso assioma accusatorio promanante dalla persona offesa che nutre, la simpatia e la compassione dei giudici, a dispetto dell’accusato, di solito inviso alle Corti ed ai Tribunali e la cui parola non merita rispetto perché egli può anche ( nel nostro sistema processuale penale) mentire?
Come non pensare all’obiettivo di considerare il discorso un evento, se si pensa che nella nostra attività, i discorsi vanno adattati agli uditori e che la comunicazione deve avere la forza di saper mutare se è rivolta ad un giudice togato, o a un giudice di pace, o a una Corte di Assise. Ogni discorso ha validità nel momento e nel contesto in cui viene pronunziato. Ecco perché ogni argomentazione ha il carattere di “evento”.
Come non pensare al principio di rovesciamento ossia il mettere in discussione la volontà di verità , se spesso ci accade di dover intervenire in un procedimento penale nel quale tutto è già dato per scontato: gli indizi raccolti dagli inquirenti appaiono prove certe, l’accusato in carcere è già ritenuto colpevole, il processo è considerato nient’altro che lo strumento per la irrogazione della pena ? Ebbene come non fare forza su quel principio ed iniziare il lungo e paziente lavoro che ci consentirà di ribaltare la pretesa verità assoluta iniziale per farne venire fuori un’altra, differente? oppure per fare faticosamente emergere sovrano il Dubbio che tutto scioglie e che vanifica le granitiche certezze dell’inizio. Smontare e disgregare ogni indizio, scollegarlo dall’altro, dimostrare che non vi è prova certa; sostenere che il nostro simile in carcere “prima” della sentenza non è un sacrificio di libertà necessario per un paese civile e che ben potrebbe aspettare il processo da libero; iniziare e affrontate il processo cercando di diffondere ad ogni momento, nelle questioni preliminari, nell’esame di un testimone, nell’analisi di una perizia, nella visione di un corpo del reato, nella discussione finale, il concetto secondo il quale il momento processuale penale è una garanzia per l’imputato e non deve divenire, invece, lo strumento per combattere una insicurezza sociale diffusa a piene mani e ad arte da mass media voyeristicamente protesi a celebrare ogni giorno il delitto, i delitti, nei loro particolari più macabri ed inquietanti.
Ogni giorno un penalista, nella sua attività forense ed anche nel chiuso dello studio, deve affrontare dei tabù. Smascherarli fa parte della sua fatica quotidiana. Ed allora perché non trarre energia nuova da quello che è stato detto nell’ “ordine del discorso”?. Occorre coraggio per pensare di rompere schemi precostituiti e creare percorsi nuovi. E’ vero. Ma occorre anche avere consapevolezza di concetti fortificanti nell’agire quotidiano.
E’ quello che è avvenuto leggendo il manifesto teorico di Foucault capace di indicare una strada e di infondere nuove forze!
10. Formazione specialistica e cultura interdisciplinare.
“Dal discorso bisogna partire non per andare verso il suo nucleo interno ma verso le sue condizioni esterne di possibilità”.
Il principio dell’esteriorità ci impone non discorsi auto celebrativi ma discorsi che siano capaci di gettare un ponte verso il futuro, verso gli altri.
Dal nostro quotidiano lavoro di approfondimento delle discipline penalistiche e processual penalistiche, volto a fare in modo che chi difende abbia un bagaglio di conoscenze tali da consentirgli di poter effettivamente “difendere i diritti dell’imputato” ( ma anche della persona offesa se ne sia il patrono) nel corso dell’intero procedimento penale, emerge forte la necessità di dedicare la propria opera in maniera esclusiva a questa branca del diritto.
Il concetto della specializzazione deve essere “esteriorizzato” , deve essere appresso all’esterno, promanando da un penalista deve giungere a tutti , ai suoi colleghi, a quanti ci leggono, a chi ci utilizza come difensori.
La specializzazione non è volontà di divenire una “casta” o un circolo chiuso, ma necessità di formare avvocati “specialisti” bravi nel loro campo di attività e non avvocati “generici” che si cimentano in ogni dove ma non raggiungono mai ( per forza di cose e non per incapacità – è chiaro) una formazione specialistica capace di essere al passo coi tempi.
Il “cliente”, questo nostro simile che ha bisogno di noi per la difesa, deve sapere che il suo caso viene trattato da chi ha già trattato casi simili, da chi sa quale è la procedura che lo aspetta e che adeguerà la sua tattica e la sua strategia difensiva, a seconda che la procedura intrapresa dall’ accusa sarà l’una o l’altra o l’altra ancora di quelle possibili.
Non parlava Foucault di voler ricercare il momento in cui, nella scienza medica, vi è stato il passaggio dall’autorevole opinione del luminare, allo studio del caso, alla sua analisi, alla confutazione di casi simili?
Ebbene quei concetti sono attuali . Sono concetti guida.
Come non sottolineare poi, che la nostra professione ci impone di essere multi disciplinari , di dover attingere dalla psichiatria , ma anche dalla fisica e dalla logica nozioni e dimostrazioni necessarie nello svolgimento della funzione difensiva penale.
Non solo tecnici della procedura ma anche poliedrici artefici di “scorribande” in altre branche del sapere, da utilizzare nella costruzione della nostra impalcatura difensiva. E Foucault non aveva detto di voler misurare l’effetto di un discorso a pretesa scientifica sull’insieme di pratiche e discorsi precettivi del sistema penale?
11. Conclusioni
La forza dei concetti e delle idee ci aiuteranno nella diuturna battaglia contro il “luogo comune”.
Sapere che ci sono percorsi tali da poter ribaltare la volontà di verità che oggi giorno promana a piene mani da ”macchinari prodigiosi” quali la tv o il sentito dire, o il senso comune, deve convincerci che nessuna idea giusta e razionale può essere calpestata facilmente.
Ogni giorno ci troveremo di fronte al luogo comune che si presenta ad ogni piè sospinto velato di saccenteria ignorante (tipo “ ci vogliono pene più severe!”) o di deduzioni aberranti ( “ se è stato arrestato qualcosa ha fatto!” “ i clandestini sono più propensi a commettere reati!” ) o di fatuità dialettica ( “ci vuole certezza della pena!”) , di macabra sbrigatività (“ gli stranieri devono essere tutti espulsi!” o peggio : “ ci vorrebbe la pena di morte!”), oppure di frettolosa ignoranza (“ si! li arrestano e dopo due giorni sono già fuori!” oppure “ ai pedofili bisognerebbe tagliarglielo!”) di sommaria inferenza deduttiva (“ quello si accompagna a quell’altro quindi è delinquente anche lui“) oppure, di stereopiti ripetuti all’infinito in tante ordinanze di rigetto ( “ la misura degli arresti domiciliari, per la sporadicità dei controlli, è affidata soltanto all’autocontrollo dell’indagato e pertanto è inadeguata” e “l’indagato si è avvalso della facoltà di non rispondere quindi nulla ha saputo controbattere alla ipotesi accusatoria”) o ancora patinate di imbecillità ( “ ora in carcere stanno bene, hanno anche la televisione!)”ecc., ecc, ecc……
Ogni giorno un avvocato penalista si sente ripetere queste frasi, legge questi stereotipi che, alla fine gli rimbombano nelle orecchie per dissuaderlo quasi volessero fargli deporre la grinta ed il coraggio,e volessero fargli mancare la fiducia nei propri mezzi.
Ma “non dobbiamo curarci di loro”, occorre andare oltre , c’è la Costituzione con i suoi principi fondamentali : vi è il diritto di difesa, vi è il Giusto Processo, vi è la funzione rieducativa della pena, vi è il rispetto della persona e dei diritti umani, ma soprattutto vi è dentro di noi l’idea che qualsiasi teorema può essere smontato purchè si abbia la volontà di farlo e di aprire scenari nuovi.
L’ordine del discorso oggi, è sapere che anche le battaglie di minoranza , se giuste, alla fine, possono vincersi.
Novembre 2008
Filippo Castellaneta