Esecuzione della pena, covid 19
e salute mentale del condannato.
In periodo di pandemia il legislatore ha considerato il carcere
alla stessa stregua del recente passato: il luogo per eccellenza dove
rinchiudere per tranquillizzare formalmente l’opinione pubblica.
In periodo di pandemia il pianeta carcere ha continuato a
considerare il condannato come persona
da contenere e non da curare lasciando trapelare pochi dati a fatica circa il
numero dei contagiati sui quali andrebbe fatta una analisi approfondita.
"Sovraffollamento sistemico” delle strutture carcerarie ove sono
rinchiusi i detenuti e "Covid" sono una accoppiata scontaat ma al legislatore non
interessa più di tanto, l’importante che la piazza forcaiola sappia che il
criminale è "chiuso a chiave”.
La gestione della salute mentale in carcere è improntata anch’essa
all’ottica del contenimento e non della cura "personalizzata” come
richiederebbe la particolare situazione della persona, "folle reo!” o "reo
folle” non fa differenza, affetta da problematiche di natura mentale, e che il
carcere, anche attraverso i centri sanitari posti all’interno dello stesso,
finisce con l’acuire e non con il curare.
Il concetto secondo il quale il trattamento sanitario praticato in
concreto è il parametro su cui occorre misurare la valutazione circa il
mantenimento o meno della condizione detentiva, stenta ad affermarsi sia a
livello legislativo che livello giurisprudenziale.
Di questo e di altri si parlerà nell’incontro del 27 novembre 2020
organizzato dalla Camera Penale di Brindisi.