Funzione della pena e slogan senza senso
Funzione della pena e slogan senza senso.
L’art. 27 della Costituzione sancisce che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
L’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali sancisce che "Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
L’art. 1 della Legge 26 luglio 1975, n. 354 afferma: "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.
Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.
Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.
I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.
Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio ch essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche esigenze dei soggetti.”
In virtù di questi principi l’ordinamento penale italiano ha abrogato la pena di morte, prevede una serie di misure alternative alla detenzione, da applicarsi quando la persona risulta condannata in via definitiva e la pena non può essere sospesa ( affidamento in prova, detenzione domiciliare, semilibertà ed altre).
In virtù di questi principi, l’ordinamento penale italiano prevede anche delle sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi (pena pecuniaria, semidetenzione, libertà controllata) al momento della irrogazione della condanna.
In virtù di questi principi, il codice penale italiano, modificato dalla Legge n. 67/2014, prevede che l’imputato possa, prima del processo, e per reati puniti con la pena fino a 4 anni di reclusione, chiedere la sospensione dello stesso e la "messa alla prova”, che comporta una serie di attività e di condotte lavorative e sociali volte ad eliminare le conseguenze del reato e risarcire il danno.
In virtù di questi principi, le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, prevedono, sin dal varo del DPR 448/1988, la sospensione del processo, anche se è prevista la pena dell’ergastolo, e la "messa alla prova” al fine di valutare la personalità del minorenne.
Alla luce di tale normativa:
La pena, nel nostro sistema giuridico, come in tanti altri sistemi giuridici moderni ha tre finalità che concorrono tra loro: quella retributiva, quella di prevenzione generale, quella di emenda del reo.
La pena, intesa oggi come pena detentiva, ha da tempo perso il suo ruolo centrale, in quanto spesso ritenuta inidonea al soddisfacimento di finalità diverse da quella meramente retributiva (si pensi al regime di favore nei confronti dei condannati tossicodipendenti e della detenute-madri).
L’ordinamento legislativo penale ha previsto, per stabilire in concreto come una persona condannata debba espiare, e con quali modalità, la sua pena, un apparato giudiziario specializzato che è la Magistratura di Sorveglianza, dispiegata in Tribunali di Sorveglianza ed Uffici di Sorveglianza presso ogni distretto di Corte di Appello.
Tali Tribunali e tali Giudici applicano un procedimento penale specifico che è il "procedimento di sorveglianza”.
Il nostro ordinamento prevede che tale procedimento di Sorveglianza si ispiri ad alcune norme costituzionali espressione di valori irrinunciabili, quali: 1) autonomia e indipendenza della Magistratura 2) giusto processo con i corollari del rispetto del contraddittorio in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo ed imparziale; 3) formazione della prova nel contraddittorio delle parti; 4) diritto di difesa; 5) obbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale; 6) ricorribilità per Cassazione; 7) finalità rieducativa della pena.
Infine, il nostro ordinamento e la Giurisprudenza Costituzionale in materia, sedimentatasi da decenni, ritengono che il trattamento penitenziario debba ispirarsi a principi ineludibili quali :
- Polifunzionalità della pena (retribuzione, prevenzione, emenda)
- Flessibilità della pena (il condannato deve essere messo alla prova nel corso della espiazione vedi disciplina sui permessi);
- Progressività del trattamento (qualsiasi regresso giustifica un riadeguamento del percorso rieducativo, mentre il maturarsi di positive esperienze genera un ulteriore passaggio nella scala degli istituti di risocializzazione).
Questo in breve il quadro di principi, norme, apparati giurisdizionali e procedure che si muovono intorno alla pena ed alla sua applicazione.
Ora, oggi e già da qualche mese, in occasione di arresti per delitti balzati agli onori della cronaca si assiste all’intervento di Ministri della Repubblica o segretari di partito che per, procurarsi l’applauso della folla urlante, usano adoperare la frase "il responsabile deve marcire in galera”.
Tale slogan, naturalmente viene poi rilanciato in maniera continua e martellante dai "social network”, lì dove improvvisati giuristi si esibiscono in richieste ancor più truci quali "buttar la chiave” "pena di morte” "castrazione”.
Tali improvvidi interventi da parte di alti rappresentanti della Repubblica rivelano tutta la ignoranza da cui sono ammantati.
Gli slogan "marcire in galera” e "buttare la chiave” sono battute "senza senso” da gettare in pasto a chi è assetato di vendetta e non di giustizia.
Innanzitutto, perché sempre sono pronunciate prima di ogni e qualsiasi regolare processo e quindi fanno riferimento ad una persona che deve essere ancora giudicata e condannata.
Poi perché, alla luce della disamina effettuata in precedenza in questo articolo, esse sono al di fuori della realtà Costituzionale e legislativa italiana e sono al di fuori della normativa Europea sui diritti fondamentali dell’Uomo.
Quindi coloro che esultano nel momento in cui il politico scandisce il "deve marcire in galera”, sappiano che è una frase che non ha alcun senso effettivo.
E’ il segno dei tempi, o forse soltanto è il segno di un particolare momento politico.
Certo la distanza tra questi slogan fatui e lo spessore delle argomentazioni di chi ha studiato il processo e la pena è abissale!
Giova, a tal proposito, ricordare le indelebili frasi che Aldo Moro ebbe a pronunciare nell’ambito del suo corso universitario di diritto e procedura penale, sul tema "la finalità rieducativa della pena come obiettivo di sicurezza sociale”:
"Si tratta di cambiare l’uomo per quanto è dato di cambiarlo”
" A che serve l’apparato repressivo dello Stato? A che serve il sistema delle pene, questo doloroso intervento della società nella vita dei soggetti che hanno scatenato elementi di disordine nella vita sociale? Quale è il significato complessivo? Tende a mortificare questo sistema di repressione? Tende a schiacciare, ad umiliare la personalità umana? Ecco il nostro sistema costituzionale risponde: no!
Tutto questo che indubbiamente significa sofferenza, non è rivolto a schiacciare la personalità: è uno strumento considerato necessario per una finalità più alta, per una finalità di rieducazione del condannato, di reinserimento del soggetto nel lambito della vita sociale” (1).
Queste parole alate sono la sintesi insuperabile della funzione dello Stato nell’applicazione della sanzione penale: fermezza, ma rispetto del reo, al fine di renderlo migliore fornendo un servizio alla società!
Quanti amministratori della cosa pubblica farebbero bene a studiare invece di smanettare sui social!
(1) "lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale” di Aldo Moro a cura di Francesco Tritto pagg. 121 e seguenti.
Avv Filippo Castellaneta
Articolo scritto il 16/08/2019