"Le regole del processo penale sono state predisposte al fine di limitare gli arbitri del potere statuale".
Il concetto, attribuito ad uno dei più grandi giuristi italiani, Francesco Carrara (1), sovrintende al tema della perfetta legittimità o no ( e con quali limiti) del diritto dell' imputato di difendersi dalle accuse a lui mosse non solo tacendo e quindi avvalendosi del riconosciuto "diritto al silenzio" ma anche "mentendo"ossia effettuando una ricostruzione del dato fattuale su cui deve celebrarsi il processo, non vera. La questione va inquadrata secondo una duplice visuale: da una prospettiva l'esame della sussistenza del diritto dell'indagato- imputato di effettuare una ricostruzione dei fatti non vera per esplicare la sua difesa, da un'altra prospettiva il comportamento, processuale e deontologico del difensore di fronte a tale atteggiamento di autodifesa da parte del cliente.
In pratica occorre indagare se sussista il diritto di mentire da parte dell'imputato e, successivamente, quale deve essere l'atteggiamento del difensore a fronte della scelta dell'imputato di fornire la "sua" ricostruzione dei fatti per i quali risponde, mentendo, e quindi versando nel processo prove non genuine o ricostruzioni fattuali fantasiose.
L'imputato può mentire.
Il diritto di mentire da parte dell'imputato è un dato acquisito per il nostro ordinamento giuridico, e tanto si evince da evidenti e chiari riferimenti normativi costituzionali e non.
Se infatti, il diritto di difesa, è, secondo il dettato dell' art. 24 Cost., inviolabile (2), ne discende che I' imputato ha il diritto di difendersi nel modo che ritiene più opportuno e con le modalità che reputa più convenienti. Se l'imputato, al fine di resistere all'accusa che gli viene mossa, decide di effettuare una ricostruzione della sua condotta difforme dal vero, questo suo atteggiamento rientra a pieno titolo nel suo inviolabile diritto di difesa (3).
A questo si aggiunga che, le regole che governano l'istruzione dibattimentale, non prevedono, per l'imputato, al momento in cui deve sottoporsi all'esame ex art. 503 cpp, l'obbligo del giuramento previsto per i testimoni ed i consulenti.
La norma citata infatti prevede che l'esame si svolga "nei modi previsti dagli art. 498 e 499", ossia disciplina il metodo da seguire per l'esame delle parti che ne abbiano fatto richiesta o che lo abbiano consentito. Non viene, invece richiamato, il dettato dell'art. 497 2^ co. cpp che stabilisce prima che l'esame abbia inizio, il necessario avvertimento del Presidente al testimone dell'obbligo di dire la verità, che precede di un attimo la declamazione dell'impegno da parte del teste.
L'imputato non viene avvertito di tale obbligo, non viene avvertito delle responsabilità previste dalla legge penale per chi depone il falso o è reticente,e non giura. Ne consegue che non avendo un obbligo di dire la verità, l'ordinamento gli concede la possibilità di mentire(4).
Il concetto investe sia il momento dell' autodifesa sia il momento della difesa tecnica vera e propria, atteso che la seconda ammanta la prima preparandola e rendendola più efficace. Deve essere , quindi, riconosciuto, in maniera piena il diritto di chi è accusato di scegliere se rispondere, e come rispondere.
In tale accezione anche il diritto dell'imputato di mentire, è riconosciuto dal nostro ordinamento.
Tale diritto, tuttavia, non può considerarsi assoluto ma incontra dei limiti, giacchè, nel momento in cui le dichiarazioni mendaci sono dirette verso terzi, possono essere definite "calunniose" e quindi generare una azione penale per la violazione dell art. 368 c.p. contro chi le ha pronunciate.
L' imputato quindi , a fronte delle accuse a lui mosse compie delle scelte:
a) rispondere o non rispondere;
b) rispondere parzialmente;
c) rispondere dicendo la verità;
d)rispondere mentendo senza coinvolgere gli altri;
e) rispondere mentendo coinvolgendo altri soggetti.
Questo, in sintesi dovrebbe essere lo stato della questione analizzando le norme del nostro codice di procedura penale.
Questo perché nel nostro sistema giuridico penale (diversamente da quello che avviene in altri sistemi) l'imputato non ha un "dovere di testimonianza" che lo sottoporrebbe a precisi obblighi, ma ha soltanto delle facoltà: di fare dichiarazioni spontanee, di rispondere o di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Il diritto di mentire, pertanto, a parere dallo scrivente, rientra nel diritto di difesa ma presenta tuttavia dei limiti, di carattere ordinamentale e di carattere processuale:
a) il reato di calunnia se il mendacio dell'imputato coinvolge altre persone.
b) La possibilità (o il rischio) che esso non superi il vaglio dibattimentale e quindi si ritorca, strategicamente, contro l'imputato, non convincendo il Giudice o i Giudici che emetteranno la sentenza.
La ricostruzione alternativa e mendace da parte del soggetto che subisce il processo deve essere munita di una credibilità intrinseca e di una credibilità estrinseca capace di essere recepita coma vera o quantomeno possibile, da parte del soggetto o dei soggetti che eserciteranno il potere giudicante. A questo proposito l'imputato dovrà effettuare dichiarazioni processuali che non devono apparire fantasiose o in-credibili, ma quantomeno logicamente corrette e consequenziali ai fatti di causa così come emergenti dagli altri atti processuali.
Sicché può legittimamente dichiararsi che il diritto di mentire da parte dell'imputato può essere esercitato ma, processualmente, fino al limite della calunnia da un lato e fino al limite di evitare di compromettere la propria linea difensiva dall'altro.
Ruolo del difensore e suoi obblighi.
Ed il difensore ? può avallare le dichiarazioni false di un cliente al fine di ottenere l'assoluzione ?
Il punto è delicato e di grande attualità. Il difensore sicuramente non può introdurre prove false nel processo ( ad es. documentazione che egli sa di provenienza artefatta e non genuina), e questo è sanzionato dall'art. 14 del codice deontologico,(5) né può ( al di là della qualifica di pubblico ufficiale che gli si voglia attribuire) , in sede di indagini difensive, verbalizzare soltanto le dichiarazioni "convenienti" ed escludere quelle "sconvenienti" per la difesa, semmai, una volta compiuto l'atto di indagine difensiva può decidere se utilizzarlo oppure no. Ma può impedire al proprio cliente di mentire ossia di effettuare una ricostruzione dei fatti non vera?
Si entra nel terreno più delicato dell'incarico professionale: l'imputato ha il diritto di difendersi come crede, ma l'avvocato ha l'obbligo di difesa. Ora si tratta di contemperare l'esigenza della difesa. Se la ricostruzione dei fatti effettuata dall'imputato per difendersi o per prestare un alibi o per giustificare un suo comportamento è "logicamente corretta" e quindi plausibile e credibile, il difensore può consentire che il proprio assistito la effettui dinanzi al Giudice, se invece la ricostruzione è palesemente artificiosa e appare non credibile agli occhi del giudicante, il dovere di difesa impone che l'avvocato consigli al proprio assistito di non effettuarla e quindi o di avvalersi del diritto di non rispondere oppure di dare una versione diversa dei fatti.
Pertanto ritengo che l'obiettivo sempre da tenere a mente è il risultato migliore per il nostro assistito, se una ricostruzione mendace ma credibile viene fatta il difensore non può tradirla perché così verrebbe meno ai suoi obblighi.
E' notorio infatti che l'art. 380 del codice penale punisce la condotta del patrocinatore infedele: "Il patrocinatore che , rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi l'Autorità Giudiziaria , è punito con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa non inferiore ad €516. La pena è aumentata se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.
Se ne deduce che l'avvocato difensore è obbligato a tutelare, pena il patrocinio infedele, gli interessi del proprio cliente (e l'interesse dell'imputato è quello di essere giudicato non colpevole) salvo il limite della consapevole introduzione in giudizio di prove false(6). Soprattutto oggi, con la possibilità di svolgere indagini difensive, l'avvocato può venire a conoscenza più facilmente di fatti non veri e quindi gli è vietato introdurli nel processo (7).
Il tema non è però così semplice e le considerazioni scaturitemi e riversate in questo scritto potranno pure sembrare banali ma devono essere attentamente considerate. Altri autorevoli autori(8) ritengono che l'avvocato non solo non possa introdurre consapevolmente prove false, ma addirittura non debba valorizzare a profitto del proprio cliente prove da altri assunte e delle quali gli è nota la sicura falsità. In questa maniera qualcuno ha detto si eviterebbe di giocare con carte truccate e non può scusarci il fatto che le carte truccate siano state introdotte nel gioco da altri e non da noi(9).
La nobiltà della nostra professione ci dovrebbe indurre, in definitiva, a ripudiare la menzogna introdotta da altri nel processo.
Tuttavia nessuno può obbligarci a decidere in anticipo della verità di una prova esistente nelle carte processuali, noi avvocati abbiamo il dovere di salvaguardare gli interessi del cliente non di giudicare sulla genuinità delle prove esistenti, sicchè saremo attenti a non introdurre prove false, saremo attenti a ignorare prove che il Giudice ci ha mostrato di ritenere superflue, ma saremmo altrettanto strenuamente protesi a dare smalto a tutte le dichiarazioni, le documentazioni, gli atti, in uno a tutto il materiale probatorio che possa sortire l'effetto agognato dall'imputato nostro cliente.
Certo non dobbiamo e non possiamo "barare", ma ci deve essere riconosciuto il diritto di "bluffare".
E, in definitiva, se, tra questo materiale, la ricostruzione dei fatti "non vera" effettuata dall'imputato, sarà stata capace di sortire l'effetto di far dichiarare non colpevole il nostro cliente, vorrà dire non che ha vinto il mendacio, ma che l'accusa portata nei confronti di quel cittadino non è stata sufficientemente capace di convincere il Giudice, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'imputato andasse condannato. L'accusa era così debole che non ha resistito al vaglio dibattimentale.
Le riflessioni di cui alla presente nota mi sono sorte dopo aver partecipato a Como al convegno "Difendersi mentendo e giusto processo", organizzato dal Centro studi di diritto penale europeo "www.dirittopenaleeuropeo.it. Mi auguro di stimolare un proficuo dibattito sul punto capace di apportare rilievi nuovi e trascurati in questa importante materia.
Note:
(1) L'autorevole autore afferma chiaramente che la Magistratura nacque allorché si ritenne iniquo che l'offensore fosse giudicato dall'offeso (o dai suoi parenti vd. Legge del taglione) , e quindi si formò un ordine di persone investite del "potere iudiciario". Subito dopo "dovette bene sentirsi la necessità di ordinamenti procedurali , limitanti l'arbitrio di coloro che, eletti giudici, si elevavano ad una potestà sui loro eguali, la quale dove fosse rimasta sbrigliata poteva di facile rendersi pericolosa". (F: Carrara origine storica del giudizio penale in Programma del Corso di diritto criminale, del Giudizio Criminale ed. Il Mulino pag. 71.)
(2) Sebbene molti autori ritengano che l'enunciato principio di cui all'art. 24 2^ comma Cost. sia affetto da "povertà denotativa" (vd. Paolo Ferrua in La difesa nel processo penale ed. Utet pag. 28 "il limite dell'enunciato di cui all'art. 24 secondo comma Costituzione è quello di definire "inviolabile" un diritto senza specificarne i contenuti") è anche vero che la connotazione di inviolabilità, sebbene generica, non impedisce il dispiegarsi del diritto di difesa in ogni forma resa possibile dall'ordinamento
(3) E' scontato , poi, che il principio costituzionale della inviolabilità del diritto di difesa deve essere riempito di contenuti utilizzando soprattutto le norme Costituzionali ( successive) dell'art. 111 in materia di Giusto processo. (sul punto vedi Paolo Ferma "Il Giusto Processo" ed Zanichelli pag.34 : "In realtà i caratteri universalizzabili del giusto processo- quelli così solidi da rappresentare un valido parametro per il giudizio di legittimità costituzionale — sono già tutti autonomamente enucleabili dal seguito dell'art.1 11 Cost. e dalle altre disposizioni a rilevanza processuale (art. 13, 14, 15, 24,25,27 Cost.)
(4) In altri ordinamenti, soprattutto di common law, l'imputato che voglia essere interrogato presta giuramento e la sua deposizione ha valore di prova piena (salvo il limite della falsa testimonianza). In tal senso, in Italia, vi è stato il progetto di riforma elaborato da Paolo Tonini e Paolo Ferrua (vd. Cass. Pe., 2000, 1593, pagg. 2868 e seguenti) . Gli autori propongono di riconoscere all'imputato tre possibilità dinanzi al Giudice : 1) tacere; 2) rendere dichiarazioni spontanee; 3) deporre come teste ( al fine di assicurare il massimo credito alla propria difesa).In tal caso "scelta la via di testimoniare, l'imputato perde il privilegio contro l'autoincriminazione sul fatto che gli è addebitato ed è tenuto a deporre su quello stesso fatto in ogni altro processo " (P Ferrua "Il Giusto Processo cit. pag. 179 ).
(5) Codice deontologico forense approvato dal CNF nella seduta del 17 aprile 1997 con le modifiche introdotte il 16 ottobre 1999 ed il 26 ottobre 2002 , art.,14 : "Dovere di verità. Le dichiarazioni in giudizo relative alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi, che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato, , e di cui l'avvocato abbia diretta conoscenza, devono essere vere. I l'avvocato non può introdurre intenzionalmente nel processo prove false. In particolare, il difensore non può assumere a verbale né introdurre dichiarazioni di persone informate sui fatti che sappia essere false".
(6) Sul punto appaiono illuminanti le parole scritte sul tema da Ettore Randazzo, già Presidente UNCPI e oggi direttore scientifico del Corso di II livello di formazione specialistica dell'avvocato penalista, nel libro "L'avvocato e la verità" editore Sellerio (pagg. 53 e seguenti) : "l'avvocato è certamente tenuto a valorizzare tutti gli elementi che la vicenda giudiziaria offre a favore del cliente. Il limite, che poi è il viatico di ogni cittadino, è costituito dalla legalità : nel rispetto di essa , si possono formulare tesi non fondate né veritiere, delle quali tuttavia l'avvocato non deve in alcun modo farsi personalmente garante dinanzi al Giudice . Parimenti il difensore può , e talvolta deve, utilizzare elementi testimoniali o documentali falsi , che siano stati introdotti in giudizio da altro soggetto processuale."
(7) Sul punto si è espresso il nostro Presidente avv. Filibero Palumbo scrivendo " L'avvocato non può intenzionalmente introdurre nel processo prove della cui falsità egli ha conoscenza, ed oggi, attraverso le indagini della difesa, è del tutto ampio il novero dei fatti che il difensore potrà conoscere nel corso della sua attività professionale "( vd. Intervento sulla rivista "Oratori del Giorno" diretta da Titta Madia Junior giugno 2003).
(8) Per un resoconto delle diverse posizioni sul punto espresse da colleghi di fama nazionale si veda il testo di Domenico Carponi Schittar "La Menzogna nel processo" ed. Giuffrè 2004.
(9) L'espressione è dell'avv. Renato Papa nell'intervento sulla rivista Oratori del Giorno giugno 2003 già cit.