Giandomenico Blasucci : la dignità della toga .
“ Allora tu vuoi diventare avvocato? “
“ Si, con la dovuta umiltà…”
“ D’accordo ragazzo, ma anche con il dovuto coraggio!”
Tra me, ragazzo appena laureato, e l’avv. Giandomenico Blasucci fu quello il primo dialogo sviluppatosi ex abrupto, dopo che mi ero accomodato sulla sedia di fronte alla sua scrivania, al di là del quale Lui troneggiava su una enorme sedia in pelle con i braccioli e lo schienale alto.
Ero emozionato e teso per quel colloquio : un caro amico di mio padre mi aveva presentato a Lui proponendogli di effettuare la “pratica forense” presso il suo studio di penalista e Lui mi aveva convocato per vedermi , ascoltarmi , e soprattutto, perché lo ascoltassi.
Mi chiese ancora della laurea, delle mie propensioni , della mia famiglia, delle mie intenzioni e così cominciai a frequentare, e lo avrei fatto per ben 15 anni, il suo studio, e ad essere partecipe del Suo lavoro, addentrandomi a poco a poco all’interno dei misteri della professione che avevo voluto, avevo scelto e avevo sognato di fare : l’ avvocato penalista.
Blasucci non solo insegnava la professione, ma era esempio di professionalità : bastava seguirlo, guardarlo in Tribunale, ascoltarlo mentre parlava con giudici, colleghi, clienti per imparare “a comportarsi” correttamente con tutti.
Il che è la base di ogni deontologia.
Non era logorroico ma sinteticamente efficace sia nei rimproveri che negli elogi, sia nelle arringhe che negli atti scritti. Ricordo che mi correggeva le prime lettere e mi induceva ad essere chiaro e breve : “ in quattro periodi puoi dire tutto! Rifai la lettera …...ed i periodi devono essere brevi!”.
Insegnamenti essenziali : indelebili per il giovane che si avviava a quella diuturna opera intellettuale per la quale argomentare efficacemente, e “farsi capire” da tutti è pane quotidiano.
Non era severo, ma su alcuni punti intransigente : un giorno entrò all’improvviso nella mia stanza rimproverandomi perché avevo chiamato poco prima, telefonicamente ( e Lui aveva sentito) il Consiglio dell’Ordine e di essermi presentato come “l’avvocato Castellaneta” (mentre ero ancora, all’epoca così prevedeva la legge, “procuratore legale”) : “ come ? Tu ti rivolgi all’Organo degli avvocati e procuratori che ci governa e Ti definisci avvocato mentre non lo sei! Attento a questi errori!”.
Aveva ragione , ero stato superficiale e poco rispettoso.
Non amava il protagonismo, ma esigeva il rispetto della persona e della toga, da tutti : clienti, colleghi e Magistrati. Un giorno dopo che un collega aveva sproloquiato nei confronti di un certo Magistrato reo di aver redatto un provvedimento negativo per il suo cliente, e dopo che fu andato via, si rivolse a me e disse : “ nei corridoi è facile parlare, poi quando si è in aula di fronte ai Giudici tutti i colleghi piegano la schiena!”
“ Schiena sempre dritta e mai arretrare” : un altro dei suoi insegnamenti .
Il Magistrato doveva essere rispettato ma doveva considerare l’avvocato soggetto con pari dignità e soprattutto doveva considerare tutti gli avvocati degni di rispetto.
L’avvocato è rispettato se ha dimostrato sempre serietà e rispetto delle Corti cui si rivolge. Ricordo che all’epoca, che nel foro barese, dinanzi il Tribunale, mi fu sufficiente era latore di una Sua una richiesta orale di rinvio per ottenere un differimento di udienza.
Circostanza oggi inimmaginabile.
Ed il rispetto dei clienti era, per Lui, fondamentale.
In una occasione rinunciò ad un mandato perché , svolta una prima attività aveva chiesto un acconto al cliente e costui per telefono gli aveva detto “ ma avvocato se non verso i soldi Lei non va avanti?”. Si era sentito leso nella sua professionalità e gli restituì le carte. Quanti oggi farebbero lo stesso?
Giganteggiava nella arringa: discepolo del prof. Regina e cultore, come tanti all’epoca, del genio di De marsico, riversava nell’oratoria tutte le energie migliori, dopo un attento studio delle carte processuali. Erano gli ultimi anni del codice del 1930 e ancora il processo penale consentiva arringhe lunghe e “omnicomprensive ”.
Poi è arrivato il codice del 1988 e la musica cambiò.
La lunga esperienza gli faceva intuire che il processo penale avrebbe sofferto non poco con l’entrata in vigore delle nuove norme : ancora troppo poco lo spazio concesso alla difesa, la previsione che la udienza preliminare si sarebbe ridotta ad “mero passaggio di fascicolo” ( “Filippo, che ci andiamo a fare? …Tanto poi ci sarà il processo::” ), esame e controesame ancora da inventare, sopratutto culturalmente ( “ che facciamo scimmiottiamo gli americani?”). E così è stato.
Riflessioni che facevano intendere come il percorso verso un processo accusatorio “vero” ( né misto, né puro, ma “vero”) sarebbe stato lungo e difficile, così come gli anni successivi e gli anni che viviamo testimoniano, e che nel processo penale è invece essenziale la “lealtà” , la fairness” (come dicono gli americani) tra i protagonisti tecnici se non si vuol svilire di contenuto il momento processuale e dar la stura a prassi “devianti”.
Ma questa è un'altra storia : rimane il patrimonio di norme comportamentali e di saggezza che quest’Uomo , avvocato preparato dignitoso, riusciva a trasmettere a chi gli stava intorno.
Grazie a Lui , chi ha frequentato il suo studio ha scoperto e imparato ad apprezzare gli scritti di Marafioti, la passione indomita de “GLI ORATORI DEL GIORNO”, gli scritti di Nicola Madia, l’impegno della Rivista DIALECTICA e del suo direttore Titta Mazzucca, le pagine incomparabili di Bruno Cassinelli.
Cioè, tutto quello che un avvocato deve sapere prima di mettersi indosso la toga!
Grazie a Lui abbiamo imparato che la toga è punto di arrivo di tutta la cultura, l’impegno, la sofferenza ed il lavoro del difensore, ed è punto di partenza per la gestione dei conflitti sociali, e per l’affermazione dei principi inalienabili dell’essere umano.
Lo ha portato via una malattia breve e letale: cui Lui ha risposto con la stessa dignità con la quale indossava la toga, facendole fare il suo corso contrastandola con le sue sole forze e senza “accanimento” sul corpo e facendo in modo che il Destino si compisse senza torture inutili in modo che quel corpo conservasse la sua dignità.
Ho pianto. Ed il film dei ricordi è partito….. Il primo giorno in Tribunale, la sua figura sempre eretta, solida anche di fronte alle minacce subite all’ingresso della Corte di Assise di Bari all’epoca dei processi politici, la sua compostezza nel successo come nella sconfitta, la sua voce, l’ arringa in Corte di assise a Potenza subito dopo il terremoto, tenuta in un prefabbricato in un clima surreale, dove la Giustizia ricominciava a muovere i suoi passi dopo al tragedia, i contrasti con i PM”prevenuti”, le prese di posizione verso i Magistrati non rispettosi, la celebrazione dei 50 anni di toga, qualche anno fa con l’abbraccio vero dei suoi colleghi più cari, le ultime comparse in Tribunale, l’amore per la sua Lucania dove sempre ritornava…..…
Ma sopra ogni ricordo mi ritornano in mente quelle due battute avute nel primo dialogo “umiltà” e “coraggio!”.
Quanta verità, quanta attualità, quanta forza premonitrice nella unione di quei due concetti!
Sono scritte nella mia anima e potrebbero essere “tatuate” sul mio corpo : senza l’umiltà dello studioso e il coraggio del combattente è impossibile indossare dignitosamente la toga.
Filippo Castellaneta