Psicologia giuridica, scienze e processo penale .
1. Premessa
Gli esseri umani sono per loro natura “psicologi”, o più propriamente, come li definisce uno dei maestri della psicologia sociale, Fritz Heider, “psicologi ingenui”, perché tendono a valutare i tratti salienti della personalità e gli atteggiamenti delle persone che incontrano.
Ciascuno di noi, cioè, nel modo di rapportarsi con gli altri, si spende nella costruzione di spiegazioni o di previsioni sul modo di agire, basate sulla c.d. psicologia del senso comune o popolare.
Tale psicologia, però, si basa su ragionamenti euristici, cioè processi mentali brevi, semplici da applicare e spesso non affidabili.
A queste semplificazioni non sfuggono ovviamente neppure i giuristi (Pubblici Ministeri, Giudici e Avvocati) a cause di letture poco aggiornate o di orientamenti giurisprudenziali superati.
Nelle vicende processuali, infatti, è frequente accertare il verificarsi di distorsioni nel “giudizio” emesso dal giudicante, e queste distorsioni sono riconducibili agli effetti delle informazioni che quest’ultimo già possiede.
È proprio dal verificarsi di tali vicende che deriva quel legame naturale tra il diritto e la psicologia, legame che induce spontaneamente al confronto, ma che il diritto ha regolarmente contenuto limitandosi a vaghi accenni e trascurando, in questo modo, un aspetto fondamentale, ossia che entrambe si occupano di definire il comportamento e perseguono finalità descrittive dei protagonisti, delle modalità del fatto, dei rapporti causali e degli esiti dell’evento.
2. La psicologia giuridica.
Una scienza in grado di cogliere, analizzare e sfruttare questo legame è la Psicologia Giuridica, che essenzialmente studia il vissuto personale (profilo psicologico) delle persone coinvolte in procedimenti giudiziari, al fine di raccogliere dati comportamentali e sottoporli al vaglio dell’autorità giudiziaria incaricata del processo civile o penale.
La psicologia giuridica in Italia ha radici molto antiche che risalgono agli inizi del '900, grazie alle opere di studiosi come U. Fiore S., G. Ferrari e S. De Sanctis.
La sua diffusione ed applicazione, però, non è mai stata costante, infatti, nel tempo si sono alternate fasi in cui la psicologia giuridica ebbe una vera sistematizzazione ed altre in cui subì un forte ostracismo e una forte chiusura da parte del sapere giuridico.
Il vero ritorno incisivo della psicologia giuridica può essere collocato verso la fine degli anni '70, grazie all'impulso di studiosi come Luisella de Cataldo, Guglielmo Gulotta e Fulvio Scaparro (questi ultimi fondatori a Milano del Gruppo di Psicologia Giuridica).
Attualmente, la psicologia giuridica sembra aver finalmente raggiunto un punto stabile di equilibrio fra le diverse discipline che regolano l'ambito forense, trovando una sua collocazione tra il diritto e la psichiatria forense.
La psicologia giuridica è suddivisibile in differenti campi:
1) la psicologia criminale, che si occupa dello studio della personalità di un individuo in quanto autore di un reato e dei concetti di criminalità e devianza;
2) la psicologia giudiziaria, che studia la personalità dell'individuo in quanto imputato, nonché le persone che partecipano al processo (giudici, testimoni, avvocati, parti offese). Coordina le nozioni di psicologia esistenti all'interno del codice per contribuire al miglioramento delle leggi, naturalmente attraverso analisi delle categorie giuridiche a rilevanza psicologica.
3) la psicologia penitenziaria, che esamina i problemi psicologici relativi alla detenzione, attraverso attività di osservazione, sostegno e trattamento del condannato; che esamina la personalità di un soggetto sottoposto ad una pena, in riferimento all’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354) ;
4) la psicologia giuridica civile, che valuta, attraverso consulenze tecniche nei casi di separazione e divorzio e nei casi di adozione, le capacità genitoriali in ordine all'affidamento dei figli e all'adozione nazionale e internazionale.
3.Il problema della imputabilità.
Nell’ambito della psicologia giudiziaria, una delle categorie giuridiche a rilevanza psicologica che maggiormente crea dibattiti e dispute in giurisprudenza, e ricorre spesso nei processi penali per i fatti di cronaca più eclatanti, è la categoria della “imputabilità”.
La imputabilità indica la capacità di agire nel diritto penale, ossia la idoneità a rispondere penalmente di un fatto.
Il nostro codice penale distingue tra vizio totale di mente e vizio parziale di mente .
Fiumi di inchiostro sono stati scritti su questo secolare e avvincente tema sul quale si gioca, spesso, l’esito di un processo, e la vita delle persone.
Di recente le Sezioni Unite, con una storica pronuncia, la n. 9163 dell’8.3.2005, meglio conosciuta come sentenza Raso ( in Cass. Pen. 2005 n. 6 pag. 742 con nota di G. Fidelbo) hanno chiarito che nella nozione di infermità penalmente rilevante possano rientrare anche i disturbi della personalità.
Tali disturbi (elencati in 17 classi diagnostiche nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV) realizzato dall’American Psychiatric Association nel 1994 e punto di riferimento per gli psichiatri),quindi, in definitiva, possono costituire causa di esclusione o di limitazione dell’imputabilità.
Perciò, ai fini del giudizio sulla imputabilità, possono essere rilevanti anche anomalie del carattere di tipo non patologico, a condizione però, «che il giudice ne accerti la gravità e l’intensità, tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e volere, e il nesso eziologico con la specifica azione criminosa».
La suddetta affermazione ha rappresentato un fondamentale punto di svolta (ad oggi…) circa la determinazione della portata del vizio di mente.
Con tale pronuncia e con il teorico allargamento del ventaglio dei casi di non imputabilità è stato recepito il principio della cosiddetta multifattorialità del disturbo mentale.
Resta però aperta la questione della diagnosi del disturbo e della valutazione della sua eventuale incidenza sulla capacità di intendere e di volere del soggetto agente. Vale adire le indicazioni della scienza psichiatrica devono poi cominarsi con i dettami giuridici in tema di imputabilità.
E da questo si può trarre spunto per una disamina del tema successivo : la validità scientifica delle prove..
4. Il problema della validità scientifica delle prove. La sottoposizione della prova scientifica alle regole del contraddittorio.
L’esigenza di fondare la condanna su prove connotate da validità scientifica, ha generato un intenso dibattito sulla metodologia di indagine adoperata dagli psichiatri nelle aule giudiziarie, e ne ha messo a nudo numerosi limiti.
In particolare,si contesta, l’assenza di procedure standardizzate di analisi, assenza che non consente, allo stato attuale, di sottoporre la perizia psichiatrica ad una verifica da parte di terzi (la c.d. falsificabilità della perizia), ritenuta invece indispensabile per poterle attribuire valore scientifico.
A tal proposito, allargando il campo di azione a tutte le prove scientifiche, ed esaminando quello che avviene oltre oceano, le linee guida da seguire nella determinazione dell’affidabilità delle prove scientifiche,sono state suggerite da tempo dalla Suprema Corte Federale degli Stati Uniti, a partire dalla nota sentenza conosciuta come la “rule Daubert” del 1993 ( Dauber v. Merrel Dow Pharmaceuticals, 509 U.S (1993) trad. in Riv. Trim. dir. Proc. civ., 1996 . p. 278) .
Tale sentenza, dopo aver premesso che nella scienza non ci sono certezze, ma solo nuove
teorie provvisorie, ha precisato che non basta ad avvalorare una prova il criterio del “consenso della comunità scientifica”, in quanto si rischierebbe di sbarrare l’introduzione nel processo di metodi “nuovi”.
E’ importante, affermano i giudici americani, ricercare la presenza di parametri di affidabilità che vengono espressamente elencati come segue :
• verificabilità del metodo;
• controllo mediante esperimenti o test di falsificazione;
• sottoposizione a peer review (traduzione: valutazione tra pari);
• pubblicazione in riviste specializzate;
• indicazione del tasso di errore accertato o potenziale che questo comporta;
• ed infine “accettazione” ( del metodo) da parte della comunità degli esperti.
In Italia, una sorta di correlato di tale sentenza, può essere considerata la sentenza Franzese (sent. della SS.UU. 10.07.2002, n. 30328), con la quale trova libero accesso nel processo penale il progresso scientifico, anche sottoforma di metodi “nuovi”, utilizzabili a condizione che il loro impiego venga temperato da esami che ne evitino l’abuso.
Tale sentenza approfondisce il problema della prova nel rapporto di causalità a proposito della responsabilità medica.
Sul punto è opportuno riportare la illuminante opinione del prof. Tonini : “L’importanza di questa sentenza sta nell’aver applicato il principio del contraddittorio alla prova scientifica. Il punto centrale si deve ravvisare proprio nell’affermazione che la ricostruzione scientifica, degna di accoglimento nel processo penale è quella che “ resiste all’urto del contraddittorio tra gli esperti”. (Paolo Tonini “ Dalla perizia prova neutra al contraddittorio sulla scienza” in Scienza e processo penale” a cura di C. Conti pag. 4).
Credo che non ci sia bisogno, sul punto, di aggiungere altro.
5. Conclusioni. Processo penale e psicologia giuridica, processo penale e scienze.
Se si accetta, nel processo penale, il contraddittorio sulla scienza, si deve accettare l’ingresso, teorico, nel processo penale di qualsiasi contributo la scienza possa fornire alla ricostruzione dei fatti per i quali è processo.
Atteso che il procedimento penale è un meccanismo procedurale idoneo a rielaborare, ai fini di un giudizio finale, accadimenti del passato, il Giudice, gli avvocati dell’accusa e della difesa possono, rispettando le regole di introduzione e ammissibilità della prova, introdurre nel thema decidendum quanto occorre per supportare la propria tesi, con la consapevolezza, però che tutto, anche la opinione scientifica più accreditata, deve essere sottoposta al vaglio del contraddittorio.
In quest’ottica, anche e soprattutto perché si fanno strada nel nostro ordinamento processuale, e specificatamente in tema di valutazione della prova, i principi sopra enunciati, si può dedurre che, dopo lungo periodo di chiusura verso la psicologia giuridica e altre scienze primariamente non considerate capaci di apportare contributi alla ricostruzione del fatto oggetto del processo, sono finalmente percepibili, concreti passi in avanti nella realizzazione di quella commistione tra saperi diversi (giuridici, scientifici ed epistemologici), e quindi verso una c.d. conoscenza (a fini processuali) “integrata”.
Naturalmente, per gestire una materia così complessa e ricercare contributi degni di chiarire aspetti controversi dei temi processuali, gli operatori del diritto devono avere non solo una grande capacità di organizzare il pensiero e di coordinare le attività degli esperti, ma anche un apertura mentale tale da fargli rigettare qualsiasi forma di chiusura verso metodi nuovi o discipline para giuridiche ( come la psicologia) , che invece possono , se opportunamente utilizzate, essere determinanti per comprendere i fatti del passato, fornirne una spiegazione “logicamente plausibile” e attribuirgli una qualificazione giuridica quanto più verosimile possibile.
Dott.ssa Anita Digirolamo