Il reato di maltrattamenti per omissione
Art. 572 c.p. : punibilità delle condotte omissive ed elemento psicologico del reato.
1. Il quadro legislativo sostanziale e processuale.
L’ordinamento penale italiano ha previsto all’art. 572 del codice penale prevede il reato di "maltrattamenti contro familiari e conviventi”.
Il reato di maltrattamenti è un reato contro la famiglia, in particolare contro l’assistenza familiare, ed il suo oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dell’interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica.
La Giurisprudenza chiarisce che affinchè sia integrato il delitto di maltrattamenti in famiglia è necessaria l’attualità di una relazione familiare intesa come vincolo affettivo e produttivo di doveri di solidarietà ed assistenza e l’agente deve volere la produzione del regime di vita segnato dalla vessazione nella sua specifica qualità di patologica relazione familiare.
I "maltrattamenti” consistono nella "sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita; i singoli episodi che costituiscono un comportamento abituale, rendono manifesta l’esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo” ( Cass. Pen. 20 novembre 2013 n. 49857).
Le norme sono inserite nel titolo XI del codice – delitti contro la famiglia- capo IV, ossia "dei delitti contro l’assistenza familiare”.
2. Un aspetto particolare della condotta: i comportamenti omissivi che possono costituire "maltrattamenti”.
Il reato di cui all’art. 572 c.p. è sorretto da dolo generico ed occorre che il comportamento tenuto dall’imputato sia improntato a contegni di consapevole e continua umiliazione tali da determinare alla vittima, uno stato di palese turbamento e di ingiustificata prostrazione e sofferenza.
La Giurisprudenza ritiene pure che integrino il reato di maltrattamenti "quei fatti omissivi di deliberata indifferenza verso elementari bisogni esistenziali e affettivi di una persona disabile”.
In particolare la sentenza della III sezione penale della cassazione n. 9724 del 28.2.2013, nel decidere in riferimento alla ipotesi di reato commesso da "badante” nei confronti di persona affidata alla sua assistenza, vigilanza e cura e affetta da "sindrome Down”, ha rimarcato in maniera precisa questo concetto.
In ipotesi del genere, secondo il Supremo Collegio, anche un atteggiamento omissivo può rappresentare una condotta tipica del reato di maltrattamenti.
Le peculiarità del caso specifico : persona offesa affetta da sindrome "down”.
Il caso trattato dalla sentenza 9724/13 della III sezione ha delle sue specificità dalle quali non si può prescindere per verificare se la giurisprudenza ammette anche la commissione del reato di maltrattamenti attraverso "condotte omissive”.
Infatti il caso concerneva il comportamento tenuto da una signora cui era stata affidata, attraverso un regolare rapporto di natura contrattualistica, la cura, l’assistenza e la vigilanza di una persona con un grave handicap e cioè affetta da sindrome di down e inabilità totale.
L’imputata era divenuta per l’occorrenza, convivente delle persona offesa ed era stata assunta dal fratello dell’inabile che poi, appunto, l’aveva denunciata.
I giudici di merito avevano riscontrato attraverso le dichiarazioni dei vicini di casa che:
• Non vi erano stati episodi di violenza o percosse,
ma
• Atteggiamento rude e imperioso con "sgridate” a voce alta;
• Cattiva cura della pulizia e dell’igiene dell’appartamento dove abitava il disabile;
• Trascuratezza nell’alimentazione ("scarsa” tanto da determinare il palese dimagrimento dell’inabile);
• Abbandono della persona affidata che veniva lasciato solo per intere ore.
• Conseguenze destabilizzanti di tali condotte sulla persona offesa che mostrava un contegno mortificato ed abulico.
Come è chiaro evidenziando questi aspetti, la vicenda è particolare per cui si può affermare che in generale un comportamento omissivo non può costituire le fondamenta del reato di maltrattamenti, ma devono ricorrere situazioni particolari come da esempio l’affido di una persona bisognosa di particolari attenzioni e cure che viene abbandonata a se stessa e mal gestita.
Non si rinvengono infatti altri precedenti nei termini sopra indicati, anche se la sentenza in esame ha ribadito, per giustificare la responsabilità dell’imputata (processo comunque estinto per prescrizione), che per il reato di cui all’art. 572 c.p. è sufficiente il dolo generico.
E probabilmente è questo il punto da approfondire in casi del genere: se ricorre l’elemento soggettivo del reato in un comportamento di omissione.
La difesa dell’imputato in quel processo, per l’appunto, aveva fatto leva sul motivo dell’inadempimento contrattuale e sulla incapacità ed inidoneità della imputata ad espletare il compito a lei affidato: le difficoltà di accudire una persona portatrice di problemi anche di comunicazione verbale connessi alla sindrome da cui è affetto.
La Corte tuttavia ha ritenuto di condividere la motivazione della Corte di Appello territoriale: il dolo è evincibile proprio perché gli atti sopraffattori erano stati compiuti della "badante” nei confronti di una persona menomata. Tale circostanza, secondo la Corte, non eliminerebbe il dolo ma anzi accentuerebbe la gravità del fatto.
3.Possibile accertare l’elemento soggettivo nel caso di omissione ? E’ possibile verificare "l’omettere per umiliare”?
Tuttavia il problema dell’elemento psicologico non può ritenersi superato: omettere non può significare maltrattare se l’agente non compie una attività che si presuppone l’obiettivo di maltrattare!
Omettere per incapacità a gestire situazioni particolari non significa che ricorra il dolo previsto e che sussista la volontà di umiliare e mortificare la persona affidata.
Bisognerebbe davvero scandagliare l’animo del reo, e capire da atteggiamenti concreti se ricorre una volontà precisa di "omettere per umiliare” l’altrui persona oppure se si è trattato di incuranza non punibile penalmente.
E applicare comunque l’assioma "in dubio pro reo”.
Avv Filippo Castellaneta
Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 08/02/2019