VIOLENZA VERSO LE DONNE : fenomenologia, profili criminologici e rimedi disciplinati dal diritto penale .
La violenza e i maltrattamenti contro le donne costituiscono uno dei problemi sociali ancora oggi tra i più rilevanti sia a livello nazionale che internazionale. Questo lo si evince, anche, dalla relazione presentata nel 2011 al Parlamento Europeo dalla Commissione per i diritti della donna e dell’uguaglianza di genere, all’interno della quale si afferma che:
”… da studi effettuati sulla violenza di genere risulta che da un quinto a un quarto di tutte le donne in Europa hanno subito atti di violenza fisica almeno una volta nelle loro vita adulta e che più di 1/10 delle donne ha subito violenza sessuale che comportano l’uso della forza. La violenza contro le donne è un problema internazionale ed europeo e nonostante da decenni se ne parli , la comunità internazionale non è riuscita a porre fine a questa forma di criminalità estremamente distruttiva.”
In Italia la portata del problema è davvero rilevante: secondo l’Istat sono 6 milioni 743 mila le donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni che nel corso della loro vita hanno subito una violenza, sia essa fisica che sessuale o psicologica.
Di queste, il 2,4% hanno subito la violenza dentro le mura domestiche; il 3,4%, invece, al di fuori delle mura domestiche.
Le vittime-soprattutto tra i 25 e i 40 anni-sono laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato così la loro emancipazione culturale ed economica, la loro autonomia e libertà.
A questi dati, già allarmanti, và però aggiunto l’elevatissimo numero sommerso di violenze, il c.d. numero oscuro.
Molte, infatti, sono le donne che decidono di non denunciare quanto subito.
Ma cos’è nel concreto la violenza di genere realizzata contro la donna?
L’art.1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993, la definisce come «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata ».
Quando si parla di violenza, quindi, si fa riferimento a più tipi e forme di violenza:
Infatti, ricorre la violenza psicologica, cioè quella costituita da una serie di atteggiamenti intimidatori, minacciosi e denigratori volti ad attaccare la dignità personale di chi la subisce.
Essa comprende: tattiche di isolamento, ricatti, insulti verbali, minacce, rifiuti, colpevolizzazioni pubbliche e private, svalutazioni continue, squalificazioni, deprivazioni,umiliazioni, limitazioni dell’espressione personale. In certi casi la violenza psicologica può arrivare ad una vera e propria “distruzione morale” (effrazione psichica) che può portare la vittima alla malattia mentale, all’abuso di sostanze stupefacenti o alcoliche, alla depressione e/o al suicidio.
All’interno di questa categoria di violenza va inserito il c.d. MOBBING FAMILIARE.
Questo termine nasce come concetto appartenente al diritto del lavoro, ma nel 2000 una sentenza della Corte di Appello di Torino (la sentenza del 21 febbraio 2000) lo introduce anche all’interno del diritto di famiglia.
Il mobbing familiare si realizza quando il partner (in tal caso definito Mobber):
• esterna reiteratamente giudizi offensivi;
• ha continui atteggiamenti denigratori;
• provoca continuamente;
• non collabora nella realizzazione dell’indirizzo familiare;
• sottrae beni comuni alla coppia.
Altra ipotesi è quella della violenza fisica, che comprende qualsiasi atto volto a far male o a spaventare la vittima e, nella maggior parte dei casi, a procurare lesioni. E’ violenza fisica anche quella indirizzata ai beni di proprietà della vittima. La violenza fisica comprende tutti quegli atti che non solo “ledono” ma spaventano la vittima.
Ancora : la violenza economica consiste in una forma di controllo diretta e indiretta sull’autonomia e indipendenza della vittima. Si realizza mediante:
1) Privazione o controllo dello stipendio;
2) Limitazione degli acquisti;
3) L’impedire la ricerca di lavoro
In caso di separazione/divorzio si realizza non adempiendo all’obbligo di mantenimento del coniuge o dei figli (art. 570 c.p. VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE)
Può venire in essere anche la violenza sessuale, contemplata dall’art. 609 bis c.p. che si realizza quando l’aggressore, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.
La disciplina previgente non parlava di atti sessuali ma distingueva tra la violenza carnale e gli atti di libidine: la prima consisteva nella consumazione dell’atto sessuale vero e proprio; la seconda riguardava qualsiasi forma di contatto corporeo, non necessariamente organi genitali o parti nude del corpo.
L’attuale nozione di atti sessuali comprende, invece, sia la congiunzione carnale che gli atti di libidine.
Una pronuncia utile a comprendere, cosa il legislatore intende per atti sessuali è quella emanata dalla Corte di Cassazione nel 2006: la sent. n. 19808/2006.
In tale sentenza la corte afferma che “La condotta vietata ex art. 609bis c.p. ricomprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, anche se fugace ed estemporaneo, (…) sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo e della sua sfera sessuale.”
Questa sentenza è stata emanata a seguito del ricorso presentato dalla difesa di un appartenente alla polizia di stato che costringeva la collega a subire baci sul collo e tentativi di baci sulla bocca durante il servizio di pattuglia in macchina. La difesa dell’imputato riteneva insussistente il reato di violenza sessuale in quanto a suo parere i baci “non idonei” a ledere la libertà sessuale di chi li riceve, la Corte, invece , come abbiamo già visto, ha rigettato il ricorso affermando che la condotta di chi bacia sul collo una donna, nella piena consapevolezza di un rifiuto, realizza il reato di violenza sessuale in quanto offende l’autodeterminazione sessuale della vittima.
Vi è, infine, un’ulteriore forma di violenza, che potremmo definire mista, perché prevede atti di violenza sia fisica che psicologica, è il c.d. stalking , contemplato dall’art. 612 bis c.p..
Per stalking intendiamo una serie di comportamenti volti a controllare e limitare la libertà della persona messi in atto dal partner o ex partner e che assumono vere e proprie forme di persecuzione di cui sono vittime principalmente le donne.
Tali comportamenti quando diventano ossessivi o persecutori incutono nella vittima terrore e paura e determinano una modifica delle sue abitudini di vita.
E’ utile notare che queste forme di violenza sulle donne influenzano le relazioni non solo nel privato ma anche nella sfera pubblica; esse non colpiscono solo le vittime reali ma anche quelle potenziali. Attraverso la paura, il terrore, il trauma contribuiscono a modificare le possibilità e le forme di relazione tra uomini e donne per tutta la società. La possibilità della violenza infatti impedisce o condiziona molte possibilità o esperienze delle donne: uscire di notte, andare a casa di amici, andare in posti abituali e tutto ciò viene vissuto come una esperienza pericolosa.
Chi è il soggetto attivo della violenza?
Innanzitutto è necessario fare una premessa: non è corretto associare la violenza di genere alla sola violenza perpetrata dagli uomini, perché così come esistono uomini violenti, esistono anche donne violente, che possiedono medesimi connotati caratteriali e sviluppano medesimi meccanismi e livelli di violenza.
A differenza degli uomini, però, le donne hanno diversi modi di esprimere la violenza anche a causa della loro minore forza fisica.
Le donne possono, come l’uomo, infliggere violenza psicologica, denigrare, umiliare, manipolare e controllare l’uomo attraverso ricatti subdoli come quello, ad esempio, di depositare false denunce di violenza sessuale sui figli.
Le proporzioni del fenomeno, però, sono estremamente diverse: nell’almeno 90% dei casi di violenza, l’autore è un uomo.
Per questo motivo quando si parla di violenza di coppia o violenza intrafamiliare si parla di un uomo che maltratta una donna.
Tornando alle caratteristiche dell’uomo violento, è bene precisare che non è possibile definire un profilo standard di uomo violento, né tanto meno è corretto affidarsi allo stereotipo secondo il quale solo gli uomini di livello socioculturale basso possano esercitare violenza fisica, sessuale o psicologica nei confronti delle donne.
Infatti, studi criminologici dimostrano che può essere violento qualsiasi uomo, senza distinzione di cultura, razza o reddito.
In genere, però, gli uomini che compiono violenza psicologica vengono definiti perversi- narcisisti.
Perversi perché la violenza che essi attuano è una strategia di distruzione che non è seguita da
alcun senso di colpa.
In piena consapevolezza e in modo intelligente agiscono la loro violenza con il preciso obiettivo di annientare la persona che gli è di fronte.
Narcisisti perché sono persone con un Io grandioso che cercano un legame con l'altro al solo
scopo di annientarlo, attaccandosi alla loro integrità.
Si circondano di persone che in realtà non sono viste come tali bensì come oggetti: l'altro non esiste in quanto individuo ma in quanto specchio che gli offre l'illusione di esistere.
Gli altri sono solo un riflesso di loro stessi.
Questi uomini scelgono con criterio la vittima della loro violenza: il perverso narcisista la cercherà con le qualità che lui stesso vorrebbe possedere e cercherà di succhiarle come un vampiro alla vittima; il paranoico ed il perverso la cercherà, invece, tra le persone con non forte personalità e che tendono a colpevolizzarsi per quanto loro accade.
In conclusione, quindi, la violenza contro le donne ha come autori gli uomini ma nessuna ricerca finora ha rilevato specifici fattori come indicatori di rischio per quanto riguarda la tipologia del violento e del maltrattatore: nè l'etnia, nè l'età, nè lo status sociale e le condizioni economiche e culturali; in tal senso non è possibile giungere ad un identikit.
Ciò significa, e questo è l'aspetto più inquietante della violenza contro le donne, che essa non presenta quei chiari confini che altri tipi di violenza hanno; essa infatti non è come altre violenze, quella criminale ad esempio, individuabile e circoscrivibile in ben precisi luoghi e contesti sociali o addebitabile a ben precisi processi socio-economici.
È la donna, quindi, e la vittima in genere, a dover percepire e captare la negatività ed il patologico di determinati atteggiamenti del partner e fare il possibile per uscire fuori da quella situazione.
Come e cosa fare?? ( comprendere, agire con gli strumenti del diritto).
La donna che subisce violenza di genere deve tenere a mente questi aspetti fondamentali:
• le violenza non ha niente a che vedere con l'amore;
• è importante sapere che la violenza è ciclica:
• è importante non fare lo stesso gioco dell'aggressore ovvero utilizzare i suoi stessi metodi aggressivi: far apparire la donna cattiva e nel torto è quello che l’aggressore cerca, perciò provoca;
• è importante chiedere aiuto: otre che a familiari e amici (che possono giudicare, schierarsi o farsi manovrare essi stessi dall'aggressore)è importante chieder aiuto a persone specializzate che possono offrire un sostegno senza giudicare;
• È importante sapere che la giustizia c’è ed offre gli strumenti utili per una adeguata tutela.
Vediamo invece,giuridicamente, quali sono gli strumenti che il diritto penale offre alla vittima di violenza:
Il primo strumento è quello della Denuncia. La donna oggetto di violenza può recarsi entro 3 mesi, o 6 mesi in caso di stalking, presso il più vicino ufficio dei Carabinieri o della Polizia di Stato e denunciare quanto subito
Per il reato di stalking in realtà, prima di procedere a denuncia/querela, è previsto un altro strumento a tutela della vittima: LA C.D. istanza di ammonimento nei confronti del persecutore, da rivolgere al Questore, quale autorità di Pubblica Sicurezza.
La norma prevede: “Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta.
La richiesta viene trasmessa al questore, il quale assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale.
Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.
La pena per il delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito”.
Un’ulteriore strumento a tutela della donna, è quello di richiedere l’ allontanamento dalla casa familiare (ex art. 282 bis c.p.p.) dell’aggressore.
Con tale strumento il giudice può prescrive all'imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede. L'eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.
Inoltre, il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro.
Su richiesta del pubblico ministero, il Giudice può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prove di mezzi adeguati.
Il giudice determina la misura dell'assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell'obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell'obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante.
Infine, ma non per ordine di importanza, vi è l’istituto del patrocinio a spese dello Stato.
La legge n. 38 del 2009, ha espressamente previsto che le donne vittime di violenza possono accedere al gratuito patrocinio a spese dello Stato anche in deroga i limiti di reddito ordinariamente previsti dalla legge per il Patrocinio a Spese dello Stato.
Tanto è stato previsto per garantire una più adeguata assistenza legale alle vittime di violenza.
Al termine di questa disamina possiamo affermare che la violenza contro le donne e le ragazze resta una delle forme più gravi di violazione strutturale dei diritti umani a livello mondiale. Qualunque sia la forma della violenza, è sempre dovuta a un comportamento violento ed inaccettabile ecco perché è importante prendere innanzitutto consapevolezza di quanto si subisce; successivamente è importante chiedere aiuto e quindi affidarsi ai consigli di esperti professionisti, quali psicologi, avvocati o assistenti sociali ed intraprendere insieme a questi un percorso che permetta alla vittima di uscire dal tunnel della violenza.
Si tratta certamente di un percorso difficile e dai tempi lunghi, ma è un percorso che il legislatore ha predisposto per apprestare alle vittime gli strumenti idonei per ottenere una adeguata tutela.
Dott.ssa Anita Di Girolamo