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Il precedente penale può non influire sul danno da ingiusta detenzione

Il precedente penale può non influire sul danno da ingiusta detenzione

Ingiusta detenzione: quantificazione dell’indennizzo e precedenti penali del richiedente. 

NON E’ POSSIBILE RIDURRE LA SOMMA LIQUIDATA A TITOLO DI RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE IN CONSIDERAZIONE DEI PRECEDENTI PENALI DA CUI E’ GRAVATO IL RICHIEDENTE, SENZA SPECIFICARE NE’ LA NATURA DI TALI PRECEDENTI NE’ LE RAGIONI PER LE QUALI ESSI DETERMINANO LA DECURTAZIONE. 

1. Premessa

L’istituto della riparazione per l’ingiusta detenzione consente a coloro che abbiano patito "ingiustamente” una misura cautelare di tipo custodiale (carcere o arresti domiciliari) di richiedere entro due anni dalla irrevocabilità della sentenza di proscioglimento o condanna una somma a titolo di indennizzo, purchè non abbiano dato o concorso a dare causa alla misura cautelare per dolo o colpa grave.
Fin dall’introduzione dell’istituto all’interno del nostro sistema, la Corte di legittimità si è pronunciata a più riprese sul problema della quantificazione dell’indennizzo, formando  un orientamento consolidato in base al quale, nel rispetto del tetto massimo fissato dalla legge (in euro 516.456,90), il giudice chiamato a stabilire il "quantum” dell’indennizzo può discostarsi dal mero calcolo aritmetico (pari ad € 235,82 per ciascun giorno di detenzione in carcere, somma che può essere ragionevolmente dimezzata in € 177,91 nel caso di custodia domiciliare)in senso ampliativo oppure restrittivo, purchè sia nell’uno che nell’altro caso, fornisca una logica motivazione.
Il fatto che il giudice di merito debba adeguatamente e logicamente motivare il proprio convincimento consente alla Corte di legittimità di verificare l’iter argomentativo sotteso alla decisione ed impedisce, quindi, che la somma dell’indennizzo venga quantificata in maniera del tutto arbitraria.

2. La Suprema Corte sulla decurtazione dell’importo nel caso in cui il richiedente sia gravato da precedenti penali.

La Corte Suprema di Cassazione Sezione IV Penale con la sentenza n.29620 depositata il 26 ottobre 2020 si è occupata del problema dell’obbligo motivazionale del giudice di merito nel quantificare la somma dell’indennizzo dovuto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione, con particolare riferimento al caso in cui il decurtamento dell’importo sia dovuto ai precedenti penali da cui è gravato il richiedente.
Nel caso di specie il ricorrente lamentava vizio di motivazione della ordinanza emessa dalla Corte di Appello, la quale aveva riconosciuto al richiedente una somma pari al computo aritmetico dell’indennizzo, salvo poi ridurlo del 40% in considerazione dei precedenti penali da cui risultava gravato, senza però in alcun modo specificare in che modo tali precedenti avessero inciso nella quantificazione dell’indennizzo.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, considerando il provvedimento meritevole di censura nella parte in cui provvede all’abbattimento del 40% della somma liquidata ponendo a base di tale scelta la semplice constatazione delle precedenti esperienze detentive del ricorrente.
A parere della Corte, infatti, il giudice di merito che intende discostarsi dall’ammontare giornaliero ha un preciso obbligo motivazionale in tal senso, dovendo indicare in maniera puntuale e corretta i parametri specifici cui ha fatto riferimento nel decurtare (o al contrario aumentare) la somma, consentendo in tale maniera la verifica del percorso argomentativo.
Sulla base di tali premesse la Suprema Corte ha pertanto ribadito il seguente principio: "in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, nel far ricorso alla liquidazione equitativa, deve sintetizzare i fattori di analisi presi in esame ed esprimere la valutazione fattane ai fini della decisione, non potendo il giudizio di equità risolversi nel merum arbitrium, ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua, così assoggettandosi alla possibilità di controllo da parte dei destinatari e dei consociati”.
Nel caso di specie la corte territoriale non si è adeguata a tali principi, avendo correttamente applicato il calcolo aritmetico ma avendo poi decurtato l’importo del 40%, in via equitativa, in considerazione dei precedenti penali gravanti sul richiedente, ma omettendo di specificare sia la natura di tali precedenti sia le ragioni per le quali essi abbiano determinato la decurtazione.

3. Conclusioni.
Ancora una volta la Suprema Corte ha ribadito l’obbligo che incombe sulle corti territoriali, alle quali spetta l’onere di quantificare l’importo della somma liquidata a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione, di motivare adeguatamente e puntualmente il proprio convincimento in ordine al discostamento dal mero calcolo aritmetico: soltanto in questo modo sarà possibile verificare l’iter argomentativo e garantire che il decisum  sia ancorato ad una motivazione logica e coerente  e sottratto all’arbitrio delle corti territoriali.

Avv. Rosanna De Canio

Articolo scritto da: avv Rosanna De canio il 13/11/2020
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